In queste ore il mondo assiste ad una delle più grandi manifestazioni che la Storia contemporanea ci indica: un Uomo claudicante e gravato di una storia di millenni fatta di santità e peccato, vestito di quel Bianco che contiene in se tutti gli altri colori come apice della gerarchia iniziatica sacra si reca “penitente” e “ pellegrino” in quella Terra, nativa di Abramo, Padre comune delle tre grandi Religioni monoteiste, riconoscendone la sacralità della “culla della Civiltà” come l’ha definita, a rafforzare il Volto più luminoso della fratellanza e della Pace universale.
Ha detto, quel grande discepolo di Ignazio di Loyola, che era un pellegrinaggio dovuto, fortemente, come segno d’amore e di riconoscenza al Popolo iracheno ed ai suoi infiniti lutti e dolori. Dovuto, qualsiasi epidemia ci fosse, non più procrastinabile.
Grandissima emozione a sentire i sacri volteggi vocali in lingua irachena nella liturgia, grande Segno dei Tempi: in quella “terra di mezzo tra Fiumi “, dove la tradizione misterica allocava il Paradiso Terrestre, nella plurimillenaria dimora ove nacque e visse il Gran Patriarca dell’Umanità, Ur. E fra poche ore, ad officiare un altro luminoso tributo a quel popolo Kurdo martire e senza pace in quella biblica Ninive così lontana nel tempo millenario e ancora palpitante. Questo è stato il modo più grande di inginocchiarsi davanti a tantissimi cristiani massacrati nella Casa di Dio, in quella Bagdad pur evocatrice di Luce e di Civiltà.
Si capisce, allora, perché questo Viaggio è una Celebrazione eucaristica: si innalzano i mille sacrifici di uomini inermi e innocenti, e si implora la riunificazione morale nel nome dell’Unico Padre celeste. Mai si era visto un così umile e grande Pellegrino in queste Terre così importanti per l’Umanità tutta e per il tempo che viviamo.
Anzi no, ci fu molti secoli fa un altro Francesco.
D’Assisi.