BIOHACKER ,UNA NUOVA RICERCA BIOLOGICA E MEDICA ETICA ED INDIPENDENTE CHE USA ORGANI UMANI E NON PIU' ANIMALI

di Stefania Sarsini - 03/01/2016

Biohacker,  

 Una ricerca in biologia e medicina che potrebbe, in nome  dell'etica, non usare più gli animali su cui testare ,
 
 ma usare gli organi umani che già esistono in America prodotti ,per esempio nel laboratorio di Organovo,


 come la ricerca del Prof Rudoplh Tanzi ,alla Harvard University, che sperimenta su cervelletti umani 

 

 Questo testo racconta le esperienze personali , che possono contribuire alla nascita di una ricerca 

 indipendente   dalle Università e ancora più dall'industria farmaceutica   e  contribuire
  
  ad una ricerca etica  ,non in nome  del profitto, ma davvero in nome della salute della specie umana,
 
 rispettando la vita degli animali .


"Sara Riggare è un ingegnere e ha il Parkinson da quando aveva 13 anni. Uno degli aspetti della malattia che le creava più problemi era non saperla gestire da sola. Così un giorno ha deciso di mettere insieme le sue conoscenze e costruire un’applicazione in grado di tenere traccia delle sue abitudini quotidiane, mettendo in relazione i sintomi della malattia, i farmaci assunti e gli effetti collaterali. L’app oggi le permette di giocare di anticipo e se necessario modificare l’assunzione dei farmaci a seconda di come si manifestano i sintomi.

Gabriel Licina invece è uno biochimico che fa parte del gruppo Science for the Masses, e che ha sperimentato su di sé un collirio a base di clorina per vedere momentaneamente al buio. Esattamente come i gatti. Dopo un’ora, Licina era in grado di riconoscere lettere, numeri e simboli, nonostante si trovasse in una stanza buia con addosso lenti a contatto affumicate e occhiali da sole per ridurre ulteriormente la quantità di luce in arrivo. Di notte è riuscito a individuare nel bosco persone nascoste tra gli alberi fino a 50 metri di distanza.

I biohacker sono persone o comunità che fanno ricerca biologica al di fuori delle istituzioni

In entrambi i casi parliamo di storie che hanno come protagonista un “biohacker”, ovvero persone o comunità che fanno ricerca biologica al di fuori delle istituzioni. Sono libere dalle logiche dei laboratori tradizionali, dove lo scopo è produrre pubblicazioni scientifiche, trarre un profitto o educare. In questo caso, invece, parliamo di laboratori dove spesso operano professionisti del settore che con strumenti semplici e open sourcecercano di produrre una scienza libera e partecipativa basata sulla condivisione di informazione e conoscenza.

«Si tratta di esperienze in cui, tramite la rete o costruendo laboratori a cui chiunque possa accedere e partecipare, si cerca di rendere la biologia più collettiva e aperta», spiega aLinkiesta Alessandro Delfanti, ricercatore presso la University of California Davis e autore del libro Biohacker. Scienze della vita e società dell’informazione (Elèuthera, 2013). «È una forma di interazione con la ricerca scientifica che avviene in spazi nuovi. Parliamo sia di comunità che cercano di mettere in piedi laboratori autogestiti e non legati direttamente a un’istituzione (soprattutto in Nord America, Europa e Asia, ancora pochi in Italia); oppure di persone che da sole, con i mezzi a loro disposizione, cercano di produrre dei risultati scientifici-biologici legati alla medicina, spesso anche per migliorare la propria condizione di salute»

È il caso di Sara Riggare, o ancora di Salvatore Iaconesi, ingegnere, hacker e artista open source, affetto da un tumore al cervello e famoso in Italia per aver “hackerato” la sua cartella cinica, per poi condividerla in rete e cercare una cura. «I biohacker, partendo da questioni di brevetti e proprietà intellettuale, mettono in discussione la ricerca e la pratica dei “Big Bio” – spiega Iaconesi a Wired – i grandi operatori delle scienze biologiche, aprendole, comprendendone gli schemi e rendendoli accessibili, inclusivi e partecipativi».

Come Iaconesi, anche Hugo Campos ha dovuto combattere, in California, contro le istituzioni americane per avere accesso ai propri dati clinici personali. Il defibrillatore impiantato nel suo petto dal 2007, nel tempo, ha raccolto infatti una serie di dati sulla funzionalità del suo cuore, come ritmo cardiaco, aritmie e anche ritenzione di liquidi. Ma ad averne accesso erano solo i medici che lo avevano in cura e la ditta produttrice del dispositivo. Per questo Campos ha intrapreso una battaglia contro la Food and Drug Administration (Fda) perché persone come lui potessero avere libero acceso ai propri dati clinici.

 

 Negli ultimi dieci anni il fenomeno si è espanso dagli Stati Uniti al Canada, Europa, America Latina e Asia. I gruppi di biologia DIY americani sono spesso più concentrati sul lato imprenditoriale e quindi cercano di lanciare start up basate su forme di ricerca distribuita, e puntano a essere finanziati dal venture capital. Soprattutto in Nord America questo è un filone molto diffuso».


       Il Nord America e in particolare San Francisco è il fulcro attorno   a          cui si muove tutto il movimento biohacking

Il Nord America e in particolare San Francisco è il fulcro attorno a cui si muove tutto il movimento biohacking, in particolare quello delle start up. Sia per via del legame con Silicon Valley, sia con le biotecnologie che per certi versi sono nate. «Qui si trova ilCounterculture Labs Oakland,  un laboratorio comunitario completamente indipendente dalla istituzioni – continua Delfanti – il Berkeley Biolabs, un incubatore per le start up che le aiuta ad andare avanti e sperimentare; Indiebio, un piccolo esperimento  di venture capital che finanzia start up; Biocurious, uno dei primi laboratori DIY e anche tra i più famosi nella Silicon Valley».

«In Europa invece c’è purtroppo  un interesse maggiore sul lato politico del biohacking  ."

 

  Questi laboratori  dovrebbero invece essere  la base per far partire un nuovo modo di ricerca e sperimentazione ,un rapporto nuovo fra scienza e società,     un modello in cui le persone hanno più potere,  a differenza della ricerca fatta nelle università e dalle grandi industrie farmaceutiche legate al profitto e al potere politico , contro la nostra salute, e contro il rispetto della vita degli animali, esseri senzienti , e pertanto portatori di diritti , primo fra tutti il diritto alla vita.

Sara Riggare è un ingegnere e ha il Parkinson da quando aveva 13 anni. Uno degli aspetti della malattia che le creava più problemi era non saperla gestire da sola. Così un giorno ha deciso di mettere insieme le sue conoscenze e costruire un’applicazione in grado di tenere traccia delle sue abitudini quotidiane, mettendo in relazione i sintomi della malattia, i farmaci assunti e gli effetti collaterali. L’app oggi le permette di giocare di anticipo e se necessario modificare l’assunzione dei farmaci a seconda di come si manifestano i sintomi.

Gabriel Licina invece è uno biochimico che fa parte del gruppo Science for the Masses, e che ha sperimentato su di sé un collirio a base di clorina per vedere momentaneamente al buio. Esattamente come i gatti. Dopo un’ora, Licina era in grado di riconoscere lettere, numeri e simboli, nonostante si trovasse in una stanza buia con addosso lenti a contatto affumicate e occhiali da sole per ridurre ulteriormente la quantità di luce in arrivo. Di notte è riuscito a individuare nel bosco persone nascoste tra gli alberi fino a 50 metri di distanza.

I biohacker sono persone o comunità che fanno ricerca biologica al di fuori delle istituzioni

In entrambi i casi parliamo di storie che hanno come protagonista un “biohacker”, ovvero persone o comunità che fanno ricerca biologica al di fuori delle istituzioni. Sono libere dalle logiche dei laboratori tradizionali, dove lo scopo è produrre pubblicazioni scientifiche, trarre un profitto o educare. In questo caso, invece, parliamo di laboratori dove spesso operano professionisti del settore che con strumenti semplici e open sourcecercano di produrre una scienza libera e partecipativa basata sulla condivisione di informazione e conoscenza.

«Si tratta di esperienze in cui, tramite la rete o costruendo laboratori a cui chiunque possa accedere e partecipare, si cerca di rendere la biologia più collettiva e aperta», spiega aLinkiesta Alessandro Delfanti, ricercatore presso la University of California Davis e autore del libro Biohacker. Scienze della vita e società dell’informazione (Elèuthera, 2013). «È una forma di interazione con la ricerca scientifica che avviene in spazi nuovi. Parliamo sia di comunità che cercano di mettere in piedi laboratori autogestiti e non legati direttamente a un’istituzione (soprattutto in Nord America, Europa e Asia, e ancora pochi in Italia); oppure di persone che da sole, con i mezzi a loro disposizione, cercano di produrre dei risultati scientifici-biologici legati alla medicina, spesso anche per migliorare la propria condizione di salute»

È il caso di Sara Riggare, o ancora di Salvatore Iaconesi, ingegnere, hacker e artista open source, affetto da un tumore al cervello e famoso in Italia per aver “hackerato” la sua cartella cinica, per poi condividerla in rete e cercare una cura. «I biohacker, partendo da questioni di brevetti e proprietà intellettuale, mettono in discussione la ricerca e la pratica dei “Big Bio” – spiega Iaconesi a Wired – i grandi operatori delle scienze biologiche, aprendole, comprendendone gli schemi e rendendoli accessibili, inclusivi e partecipativi».

Come Iaconesi, anche Hugo Campos ha dovuto combattere, in California, contro le istituzioni americane per avere accesso ai propri dati clinici personali. Il defibrillatore impiantato nel suo petto dal 2007, nel tempo, ha raccolto infatti una serie di dati sulla funzionalità del suo cuore, come ritmo cardiaco, aritmie e anche ritenzione di liquidi. Ma ad averne accesso erano solo i medici che lo avevano in cura e la ditta produttrice del dispositivo. Per questo Campos ha intrapreso una battaglia contro la Food and Drug Administration (Fda) perché persone come lui potessero avere libero acceso ai propri dati clinici.

 

 Negli ultimi dieci anni il fenomeno si è espanso dagli Stati Uniti al Canada, Europa, America Latina e Asia. I gruppi di biologia DIY americani sono spesso più concentrati sul lato imprenditoriale e quindi cercano di lanciare start up basate su forme di ricerca distribuita, e puntano a essere finanziati dal venture capital. Soprattutto in Nord America questo è un filone molto diffuso».


       Il Nord America e in particolare San Francisco è il fulcro attorno   a          cui si muove tutto il movimento biohacking

Il Nord America e in particolare San Francisco è il fulcro attorno a cui si muove tutto il movimento biohacking, in particolare quello delle start up. Sia per via del legame con Silicon Valley, sia con le biotecnologie che per certi versi sono nate. «Qui si trova ilCounterculture Labs Oakland,  un laboratorio comunitario completamente indipendente dalla istituzioni – continua Delfanti – il Berkeley Biolabs, un incubatore per le start up che le aiuta ad andare avanti e sperimentare; Indiebio, un piccolo esperimento  di venture capital che finanzia start up; Biocurious, uno dei primi laboratori DIY e anche tra i più famosi nella Silicon Valley».

«In Europa invece c’è purtroppo  un interesse maggiore sul lato politico del biohacking  .

  Questi laboratori  dovrebbero invece essere  la base per far partire un nuovo modo di ricerca e sperimentazione ,un rapporto nuovo fra scienza e società,     un modello in cui le persone hanno più potere,  a differenza della ricerca fatta nelle università e dalle grandi industrie farmaceutiche legate al profitto e al potere politico , contro la nostra salute, e contro il rispetto della vita degli animali, esseri senzienti , e pertanto portatori di diritti , primo fra tutti il diritto alla vita.