Mi ricordo di Laika.
Se ne è parlato molto nei giorni scorsi perché il 3 novembre è stato l’anniversario del suo lancio nello spazio, con lo Sputnik2, nel 1957.
Sessanta anni fa. Io avevo cinque anni, ma me ne ricordo benissimo. Ricordo l’angoscia, il dolore profondo, la disperazione, per quella povera cagnolina spedita verso il nulla, verso il buio più terrificante, lontano, freddo e insensibile. Sola, senza nessuno che l’aiutasse, che si preoccupasse per lei. Mi sembrava una bambina come me, abbandonata, anzi, ingannata da tutti, senza speranza. Sapevo bene che non sarebbe tornata viva.
Laika era una randagina che girava per Mosca, aveva circa tre anni, e venne accalappiata, come succedeva e succede tuttora in molti paesi ai randagi, come è successo anche in Italia fino al 1991, per essere “sacrificata” in nome della Scienza. Sembra che Laika non fosse il suo vero nome, ma non importa. Fu scelta perché di taglia minuta, di buon carattere, intelligente e femmina: già, perché nello stretto angosciante spazio dell’abitacolo della capsula non poteva stare un maschio, che alza la zampa per pisciare.
Laika si fidava di quegli umani che le facevano fare strane cose, la tenevano incatenata, la costringevano a vivere in contenitori sempre più piccoli, a nutrirsi di gelatine, e la riempivano di elettrodi per monitorare le sue funzioni vitali, la mettevano in centrifughe e altro di terrificante ancora.
Laika si fidava, compiendo il consueto drammatico errore degli animali: fidarsi degli altri, perché loro sono dotati di senso morale e non pensano alla cattiveria, al sadismo, degli esseri umani, soprattutto quando sono autorizzati dalla Scienza, come succede tutt’oggi per milioni di cavie usate nei laboratori di “vivisezione”.
Accidenti, mi devo correggere, meglio non dire vivisezione, che fa un brutto effetto, anche se questo vocabolo è storico, citato nella legge italiana fino al 1991 e l’uso ne è anche stato autorizzato da una recente sentenza della Cassazione (Cassazione Civile, Sent. Sez. 3 Num. 14694 Anno 2016).
Laika mi guarda
ancora nelle foto d’archivio pubblicate in questi
giorni sui quotidiani con i suoi occhi dolci,
intelligenti, fiduciosi, incapaci di prevedere la
malvagità degli esseri umani e la sua tragica,
dolorosa, orribile fine. Anche perché il suo viaggio
senza ritorno nello spazio aveva finalità
squisitamente politiche, la lotta tra Urss e Usa, e
nulle dal punto di vista scientifico. Anche Oleg
Gazenko, responsabile della missione, in
un’intervista fatta alcuni anni dopo, (http://www.corriere.it/cronache/07_novembre_02/laika_spazio_russia.shtml) avrebbe espresso rammarico
per la morte dell’animale,
ritenendo che il lancio di Laika fu un sacrificio
inutile. Infatti ben poche informazioni
poterono essere raccolte da tale missione, e la
probabile morte prematura dell’animale potrebbe aver
compromesso la missione dal punto di vista
scientifico.
Laika non fu la sola,
molti cani e gatti e topi e rane e meduse ecc.
furono inviati nello spazio, a soffrire e morire. Ma
io mi ricordo di Laika, nome che ancora adesso
portano molti cani, forse senza sapere perché.