Sarebbe facile dire che l’avevamo detto. Lo dicevamo, anche se in pochi, che la mafia stava divorando il Paese. Lo dicevo da pm che tutta la politica dentro le stanze del potere, con poche eccezioni e differenze fra destra e sinistra, aveva scelto la convivenza e la complicità morale con la mafia. E che quello spirito di convivenza veniva da lontano, dalla trattativa Stato-mafia, quando si poteva scegliere. Da una parte, la linea dell’intransigenza, per la quale uomini come Falcone e Borsellino avevano dato la vita, ma che stavolta poteva trovare il sostegno di una maggioranza di cittadini animati da una irresistibile voglia di cambiamento sull’onda della spinta dell’emozione delle stragi mafiose e della speranza dell’inchiesta Mani Pulite che stava spazzando via un intero ceto politico corrotto.
Dall’altra parte, la vecchia logica della trattativa e del compromesso coi poteri criminali, per salvare gli uomini e la pratica di una casta irriducibile e irredimibile. Vinse il patto politico-mafioso e il sistema criminale, definitivamente legittimato, si è innervato attraverso il Paese, risalendo l’intera penisola e sospingendo sempre più a nord la linea della palma, al punto che oggi la mafia è saldamente ancorata nella capitale come la Procura di Roma ha scoperto e spadroneggia in ogni angolo del Paese.
Ma chi lo diceva qualche anno fa era un eretico, e anche per questo venni considerato un pm eversivo perché tanto poco omologato da aprire un’inchiesta sulla scellerata trattativa Stato-mafia e isolato perché dicevo ciò che pensavo delle finte politiche antimafia. Furono anni di emarginazione, anche da una parte della magistratura, che, con la legittimazione quirinalizia del conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo e l’ausilio di una sequela di procedimenti disciplinari, mi sospinse fuori dall’ordine giudiziario convincendomi che una sfida così impari potesse essere riequilibrata solo con un impegno politico per cambiare il sistema. Fu un errore di sottovalutazione di cui mi rendo conto solo ora che comprendo molte delle ragioni di quegli attacchi e quell’isolamento.
Non era solo l’ostilità contro il pm che aveva osato indagare sulla trattativa Stato-mafia mettendosi perfino contro il Capo dello Stato. C’era di più. Il sistema criminale era penetrato troppo profondamente, e non era possibile nel circuito politico allearsi con chi propugnava un cambio di sistema, che aveva come obiettivo l’intransigenza verso la mafia per eliminarla. Oggi tutto è venuto alla luce del sole. La Roma di Mafia Capitale, ostaggio di Carminati e Buzzi, è peggio della Milano di Tangentopoli. Oggi la politica corrotta non ha nemmeno la pretesa di dettare condizioni, ma accetta la sua subalternità al potere criminale sottomettendosi a un ex terrorista dei Nar vicino alla banda della Magliana e alla sua cosca affaristico-mafiosa. Carminati e Buzzi, il nero e il rosso, gli acchiappa-appalti temuti e rispettati in ogni palazzo che conti, capaci di prendersi Roma arrivando fin sul Campidoglio.
E sotto di loro, un sistema di governo corrotto, una classe politica in vendita, a destra come a sinistra. L’intreccio tra politica e interessi criminali, che Falcone chiamava ‘zona grigia’, è diventato una ‘zona nera’, il cancro che sta divorando il Paese. Lo dicevamo da anni. Bastava ascoltare quell’allarme per fermare lo scempio, per alzare un argine di legalità, e invece la politica nulla ha fatto, in parte perché collusa, o addirittura espressione di quel sistema criminale, in parte perché si è adattata. Poche e inascoltate le urla nel silenzio e ormai è forse troppo tardi per una vera rivoluzione etica, culturale e legale in grado di cambiare sistema. Pare avere vinto il partito trasversale dell’impunità e dell’illegalità.
E tutto
nacque da quella trattativa della stagione delle stragi quando la classe
dirigente del Paese, tradendo l’intransigenza di Falcone e Borsellino,
scelse di scendere a patti con i poteri criminali. Da quel momento la
mafia, che poteva essere sconfitta, si è evoluta ad alti e più
sofisticati livelli, finendo con l’essere accettata come componente
ineliminabile del sistema. L’inchiesta di Roma è solo l’ultima conferma.
Ed è per questo che le verità del processo Stato-mafia fanno tanta
paura. L’inadeguatezza della risposta politica è disarmante. Renzi dice
banalmente che è uno schifo. Ma il suo governo cosa ha fatto per
impedire questo schifo? Nulla. E non serve parlare di mele marce, perché
è tutto il cesto che va cambiato. La gente non crede più a niente e a
nessuno, l’astensionismo alle regionali ne è la prova.
I cittadini
sono stanchi e sfiduciati perché raggirati da una politica interessata
solo a ingrassarsi, che promette e non mantiene, e puntualmente si fa
trovare a incassare tangenti. Una politica colpevole. Per uscire da
questo tunnel si dovrebbe cambiare sistema e farlo con una legislazione
antimafia e anticorruzione seria, all’altezza della sfida. Ne avrebbe
bisogno il Paese e servirebbe un’alleanza sociale e politica per farlo.
Ma il Paese ha ancora le energie per tutto questo? È il momento di
verificarlo.