Qualcuno nei giorni scorsi mi ha detto che, sulla questione immigrazione, il popolo italiano va capito, ne vanno comprese le ansie, le paure, mentre le colpe vanno ricercate altrove, nella politica o nel sistema Stato. Mi hanno detto che la gente non può comprendere, non ha il tempo e i mezzi per farlo. La gente, dunque, non sa. Una conclusione molto pericolosa e piuttosto fragile. D’altra parte, se fossimo sul piano ristretto della legge, si potrebbe facilmente rispondere che l’ignoranza non è ammessa e non può valere come attenuante alla crudeltà e alla bestialità disumana di cui una cospicua parte di questo popolo si macchia quotidianamente.
Lasciando perdere i ragionamenti intellettuali sul rapporto tra cittadini e potere o sugli effetti sensibili dei media e degli opinion leader sulle azioni degli individui, ciò che risalta oggi è l’assoluta indisponibilità di molta gente ad ascoltare, ragionare, comprendere. Attenzione, non è incapacità e non è nemmeno solo un fatto di ignoranza, perché non sono solo le fasce meno attrezzate culturalmente a offrire il peggio, ma anche quelle che potrebbero attivare i filtri culturali a loro disposizione. Proprio per questo non si può accettare la litania del popolo ingenuo, della “brava gente” che soffre gli effetti della crisi e che per questo è legittimata a fare mostra di crudeltà e grettezza.
Il Paese è cambiato, sono cambiate le cifre linguistiche e i codici morali, sono stati spostati in avanti i limiti entro cui ci si può spingere con la critica e l’espressione del dissenso verso un’opinione. L’insulto grave è diventato la normalità, così come è normale assistere agli sproloqui generalizzati, sulla base del principio per cui oggi tutti possono parlare di tutto, anche di temi complessi che richiederebbero un minimo di informazione, studio, ricerca e, magari, un pizzico di esperienza sul campo. Oggi, persino i numeri sono spogliati del loro senso, catapultati nella pastoia di un dibattito svuotato dalle sfumature, dagli approfondimenti, dai ragionamenti compiuti, dalla purezza sia scientifica che umanistica.
Il pudore della conoscenza è stato sostituito dalla sfrontatezza dell’arroganza. Si parla di immigrazione e di qualsiasi tema che in qualche modo, anche forzatamente, possa esservi collegato, con un’approssimazione imbarazzante. Un atteggiamento che, in alcuni soggetti, si fortifica grazie alla lettura sommaria di articoli di giornale costruiti solo per confermare sensazioni e paure o, peggio ancora, di notizie false, diffuse artificiosamente da chi ha scelto di individuare nello straniero il capro espiatorio più funzionale. Ed è un meccanismo tossico che mette insieme l’ignoranza disarmante di chi abbocca alle strategie del potere e la cattiveria studiata e impunita dei sobillatori.
C’è una volontà chiara di scaricare sullo straniero ogni frustrazione sociale di cui la nostra comunità nazionale è intrisa, per colpe esclusivamente proprie, del proprio meschino e radicato sistema politico, per l’infetta e perversa maniera di concepire lo Stato e l’appartenenza ad esso, per una storia di violenza costante sul diritto, sulla solidarietà e sul bene pubblico, in cambio di un minimo, miserabile tornaconto personale. L’urlo contro la corruzione e la politica è solo un modo per il popolo di liberarsi delle proprie responsabilità.
L’ondata razzista, destrorsa, qualunquista che sta sommergendo la coscienza popolare e che le forze politiche stanno sfruttando a fini elettorali, è il segno tangibile di un degrado culturale e umano che ha più colpevoli. Tra questi ci sono anche i cittadini, che in questi anni hanno avuto enormi possibilità e molteplici occasioni di comprendere, di conoscere la verità, di sapere, ma hanno invece scelto la via facile dell’indifferenza o quella stolta del negazionismo.
La gente sa cosa accade in Libia, perché sono almeno dieci anni che arrivano testimonianze, immagini, inchieste. La gente sa benissimo che la malaria, a differenza del razzismo, non si trasmette da uomo a uomo. La gente sa che lo stupro non è un fatto etnico, ma un atto di violenza inaudita connaturata alla brutalità del maschio di ogni razza e nazione. La gente sa che non vi è alcuna invasione di migranti e che basterebbe fare ciascuno la nostra parte per poter gestire i numeri ridicoli dell’Italia. La gente sa che il lavoro non ce lo rubano, ma che siamo noi a non voler più fare certi mestieri. La gente sa che senza i migranti saremmo un Paese in default economico, le pensioni sarebbero ancora più a rischio e, soprattutto, buona parte dei nostri anziani e dei malati si troverebbero in stato di abbandono.
La gente sa perché è la prima a sfruttare i migranti, la prima a servirsi della loro presenza, magari a basso costo, salvo poi offenderli, oltraggiarli, picchiarli, vomitare tutto l’odio di cui si è capaci solo per crearsi un alibi e proiettare su altri la propria incapacità di cambiare le cose. Il popolo, giusto per rispondere a chi dice che sia incolpevole, è pienamente responsabile di ciò che accade ai piani alti, proprio perché sa quello che avviene e, invece di reagire, accetta, applaude o tace.
In Libia, per fare un esempio, si sta consumando la seconda parte del genocidio che un tempo avveniva anche in mare e oggi, invece, si svolge solo nel deserto o nei lager libici. Lo sanno tutti. Come sanno che Minniti ha stretto accordi con le milizie libiche che sono protagoniste attive di quel traffico di esseri umani che millanta di voler fermare. Quei morti, quelle torture, quegli stupri di donne e bambini per cui non ci indigniamo, pesano sulla nostra coscienza. Non solo di Stato o di governo, ma di popolo. Perché il popolo è colpevole e va accusato.
Chi non lo fa, chi lo giustifica sulla base di intellettualismi sterili, di patriottismi beceri o di litanie sulla crisi economica, compie lo stesso peccato grave di cui si macchiò il popolo tedesco ai tempi di Hitler e del nazionalsocialismo, vale a dire il silenzio complice che ha armato i fucili e le camere a gas, costruito lager e scavato fosse comuni nel cuore di un’Europa coperta di sangue e orrore. La storia non vale solo quando c’entrano gli altri. La storia siamo noi. E delle sue direzioni, del suo scorrere, delle strade che essa intraprende siamo direttamente responsabili. Tutti. Governi, opposizioni, giornalisti e cittadini.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org