Il “capo dei capi”, Salvatore Riina, è tornato a far
sentire la propria voce. Lo avrebbe fatto da dietro le sbarre, detenuto
al 41 bis, con poche parole urlate ad un compagno di carcere qualche
giorno fa: “Di Matteo deve morire. E con lui tutti i pm della trattativa, mi stanno facendo impazzire”.
Le
parole sarebbero state sentite da un agente della polizia penitenziaria
che ha immediatamente avvertito i superiori. A dare la notizia è oggi
il quotidiano La Repubblica e chiaramente le nuove minacce
alimentano a far puntare i fari attorno al sostituto procuratore di
Palermo e tutto il pool che sta seguendo le indagini sulla trattativa
Stato-mafia, ovvero il procuratore aggiunto Vittorio Teresi ed i sostituti Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene.
Secondo quanto riferito dal quotidiano lunedì scorso si è riunito il comitato per l'ordine e la sicurezza presieduto dal prefetto Francesca Cannizzo.
E
per Di Matteo si sarebbe valutata anche la soluzione estrema di un
trasferimento in una località segreta assieme alla famiglia. Lo stesso
che accadde per i giudici Falcone e Borsellino
quando vennero trasferiti all'Asinara con i familiari per ultimare in
sicurezza la stesura dell'atto d'accusa del maxi processo.
Già in estate il livello di sicurezza di Antonino Di Matteo
era stato innalzato al massimo livello in seguito alle lettere anonime
che facevano riferimento ad un attentato pronto nei suoi confronti. E
anche per gli altri magistrati del pool, anche loro già minacciati di
morte con intrusioni in casa ed intimidazioni, la situazione resta di
allerta. Il comitato ha stabilito di chiedere al ministero dell'Interno
un ulteriore impegno, magari dotando la scorta di Di Matteo e degli
altri di un "jammer" (il dispositivo anti bomba che blocca i segnali radio telecomandati nel raggio di 200 metri).
Secondo quanto riportato da Repubblica Riina avrebbe indicato tra gli obiettivi da uccidere anche il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, che fino a qualche mese fa, a Caltanissetta, si è occupato della revisione del processo per la strage di via D'Amelio.
Sul perché Riina abbia pronunciato ora, alla soglia degli 83 anni (fra tre giorni è il compleanno ndr)
quelle frasi si possono fare mille supposizioni. Forse si è stufato di
dover pagare per tutti e come ultimo gesto ha intenzione di riavviare
una nuova stagione di stragi. Forse lo hanno fatto arrabbiare le parole
del collaboratore di giustizia Onorato, sentito al processo la scorsa settimana, che ha fatto rivelazioni sulla morte del generale dalla Chiesa,
spiegando che fu lo Stato, ed in particolare le figure di Andreotti e
Craxi, ad “usare” Cosa nostra per quell'eccidio. Forse si tratta di
parole preventive per quello che potrà dire Antonino Giuffré il prossimo
21 e 22 novembre. Quel che è certo è che, qualora la notizia data da Repubblica
sia accertata e confermata dalle autorità preposte, quelle sono parole
pronunciate dal vero capo di Cosa nostra perché, non va dimenticato, non
si è mai riunita la Commissione per destituirlo. Era questo il problema
che si ponevano gli stessi boss Capizzi, Adelfio e Scaduto, ai tempi
dell'operazione Perseo nel 2008, quando volevano ricomporre una nuova
Commissione provinciale. E Messina Denaro, che di Riina e Provenzano
ha raccolto il testimone di leader in seno all'organizzazione
criminale, è storicamente appartenente all'ala dei corleonesi. Per
questo motivo le nuove minacce provenienti dal carcere vanno prese in
grandissima considerazione e fanno temere il riproporsi di una nuova
stagione di sangue.
Adesso aspettiamo che alcuni lorsignori del Consiglio superiore della magistratura
e delle varie correnti settarie ed arroganti della stessa si cospargano
il capo di cenere come i niniviti di biblica memoria e dicano “mea
culpa, mea maxima culpa”. Ci aspettiamo, non solo che vengano archiviate
tutte le pratiche disciplinari, se ci sono, contro Di Matteo ed il pool
sulla trattativa, ma anche che venga espressa solidarietà pubblica in
modo da creare una catena di forza della magistratura per proteggere la
vita di questi colleghi in prima linea e quella delle loro famiglie in
modo da permettere agli stessi di portare a termine il proprio lavoro
d'indagine su una delle pagine più buie della storia del nostro Paese.
In
questo modo non si darebbe un segno solo a Riina e a Cosa nostra ma a
tutti quei poteri occulti che con lei hanno organizzato le stragi.
Sarebbe una linea di protezione forte e congiunta assieme a quella parte
di politica onesta, opposta a quella che da sempre non ha voluto
sconfiggere la mafia, e alla società civile che vuole davvero
raggiungere la verità proteggendo i magistrati.
Liberacittadinanza esprime solidarietà e vicinanza al Giudice Di Matteo e a tutto il pool di Palermo impegnato a fare luce sulla “trattativa stato mafia”.