Se non sarà stralciato
dalla legge sulla concorrenza, l’ articolo 68 metterà fine all’ idea
stessa che il potere pubblico sottoponga a vaglio le opere d’arte
private avviate all’esportazione. Con il nuovo regime, infatti, chi
scoprirà di avere in casa un Raffaello o un Caravaggio potrebbe fingere
di non averlo scoperto, autocertificare che quel quadro “di ignoto” vale
meno di 13.500 euro e otterrà in automatico, dal sistema informatico,
la licenza di esportazione. L’ unica possibilità di intervento pubblico
sarà un controllo a campione (così prevede la citata legge 445 del 2000
sulle autocertificazioni) attraverso il quale gli uffici esportazione
(sempre più sguarniti di personale) riescano a intuire (non di fronte
all’ opera, ma attraverso una foto vista su uno schermo di computer) di
aver pescato proprio un capolavoro «eccezionale» (così la legge), che il
ministro (dunque l’ autorità politica) dovrà poi fermare con un suo
decreto.
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Non è difficile
prevedere come andrà a finire. E infatti le grandi case d’ asta
internazionali hanno pubblicamente vantato il loro ruolo in tutto ciò:
nel giugno del 2015 il Sole 24 Ore scrisse che l’allora presidente del
consiglio Renzi e l’ancora ministro per i Beni culturali Franceschini
erano d’accordo «sulla riforma di Apollo 2». Che non è il dio delle
arti, ma il nome di una lobby di mercanti, che forse sarebbe stato più
appropriato intitolare a Mercurio: case d’asta internazionali,
associazioni di case d’asta nazionali, l’associazione di antiquari e
galleristi, l’associazione librai antichi.
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Ora, con due anni di
ritardo e in altra forma, il rompete le righe della tutela arriva a un
passo dall’approvazione. Il risultato sarebbe quello di regalare al
mercato internazionale e ai grandi musei stranieri quel che,
rispettivamente, potrebbe essere venduto dagli antiquari italiani sul
mercato interno, e comprato dai nostri musei. Ma davvero l’ Italia può
mandare a picco una luminosa storia plurisecolare di tutela – grazie
alla quale il nostro patrimonio è ancora tra noi – con l’ articolo di
una legge sulla concorrenza? Non occorrerebbe prima un vero dibattito,
nel Paese e nel Parlamento?
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Non è l’ unico caso:
pochi giorni fa è uscito sulla Gazzetta Ufficiale un decreto (il 31 del
13 febbraio 2017) che di fatto sopprime la tutela contestuale dei centri
storici (aprendo alla possibilità di modificare i tetti anche accanto
al Pantheon per metterci mini impianti eolici, o fotovoltaici), e
consente di scavare senza autorizzazione anche in terreni di interesse
archeologico.
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Un continuo
stillicidio di norme sparse sta di fatto espiantando dalla Costituzione
l’articolo 9: e la Repubblica – senza discuterne, e forse senza
accorgersene – sta rinunciando a tutelare paesaggio e patrimonio. Non
stiamo decidendo solo per noi, ma anche per i nostri figli e i loro
discendenti. Non è forse il caso di fermarsi a riflettere?
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