Ridurre l’incidenza fiscale nel nostro Paese, che ha aliquote più alte degli altri, è sicuramente un obiettivo apprezzabile. Ma l’argomento non può essere trattato a colpi di slogan pensati solo per fare i titoli sui giornali amici. Mi vengono in mente alcuni temi che non mi sembra siano emersi con sufficiente chiarezza dai proclami di Renzi , opportunamente amplificati dai suoi laudatores.
Intanto sarebbe opportuno parlare del gettito fiscale in valori assoluti: ‘meno tasse’ significa puntare a ridurre l’attuale prelievo di oltre 700 miliardi? Anche perché nel momento in cui rischiamo ancora di dover invece aumentare l’IVA perché non riusciamo a stare nei parametri europei, ridurre il prelievo è possibile solo comprimendo la spesa, cioè a due condizioni: una seria politica contro l’evasione, la corruzione e gli sprechi, o una drastica riduzione dei servizi pubblici, che colpirebbe ovviamente le fasce meno fortunate della popolazione.
Aspetto con ansia che Renzi dimostri, coi fatti e non con le slides, cosa sta facendo il suo governo (appoggiato da Verdini e in coalizione con un partito che ha più inquisiti che voti) sul primo argomento. Contemporaneamente temo le conseguenze delle sue ‘razionalizzazioni’ del pubblico impiego, che sono cosa diversa dalla ‘spending review’ di Cottarelli, che non a caso giace in fondo a un cassetto (chiuso a chiave).
Parlare di ‘meno tasse’ nel senso di ‘meno spesa pubblica, senza specificare per chi e con quali conseguenze per la vita delle famiglie, non è comunque credibile. Occorrerebbe chiarire le conseguenze di ogni riduzione della spesa pubblica: riduciamo i vitalizi dei parlamentari o aumentiamo i ticket sui servizi sanitari? Togliamo la scorta a personaggi impresentabili e magari condannati, o lasciamo le auto della polizia senza carburante? Soprattutto: rendiamo efficace la lotta contro evasione e corruzione, o, come con le ultime ‘riforme’, allarghiamo l’area della impunità?
Sarebbe poi fondamentale parlare della curva di progressività delle aliquote. La nostra Costituzione (art. 53) prevede che tutti siano ‘tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva’ e che il sistema tributario sia informato a criteri di progressività. Questo significa che più aumenta la ricchezza e il reddito delle famiglie, più alte dovrebbero essere le aliquote del prelievo fiscale. Ma in Italia la progressività di arresta ai redditi di 75.000 euro annui con una aliquota (43%), appena superiore a quella (41%) che colpisce i redditi da 55.000 euro. Per i redditi superiori (oltre mezzo milione solo quelli denunciati) l’aliquota non cambia. Questi scaglioni corrispondono a una giusta ‘progressività’, se consideriamo che l’aliquota minima per i redditi fino a 15.000 euro è del 23%?
Non meno interessante è rilevare che circa la metà del gettito totale proviene dall’IVA, che essendo una imposta indiretta applica aliquote uguali per tutti, ed è quindi regressiva e, nell’attuale entità, incostituzionale.
Sul piano della progressività si apre quindi un vasto orizzonte per una revisione coerente, ragionevole e soprattutto equa, in particolare in questa fase di crisi sociale, che anche a parità di entrate per lo Stato potrebbe alleggerire il carico delle famiglie meno abbienti, imponendo un contributo di solidarietà ai super-ricchi. Renzi potrebbe illustrarci cosa intende fare su questo piano.
Veniamo alla promessa (copiata da Berlusconi) di togliere la tassazione della prima casa, che interessa quasi il 70% delle famiglie italiane (e quindi degli elettori, che sono il vero obiettivo di Renzi). Non a caso il professor Visco ha immediatamente fatto notare che anche in questo caso sarebbe opportuno distinguere fra i monolocali di periferia (dove magari vivono per necessità famiglie numerose a basso reddito) e le ville di Arcore o ai Parioli. Quale obiettivo si intenderebbe perseguire eliminando una imposta (peraltro presente in tutti i Paesi civili) su entrambe le tipologie di case?
Anche alla riduzione della imposizione sui redditi aziendali si potrebbero applicare riflessioni analoghe, ma soprattutto sarebbe indispensabile tenere conto che l’evasione fiscale (di fatto tollerata perché a basso rischio e poco punita) costituisce una delle maggiori distorsioni del tanto invocato ‘mercato’, ed è fra i maggiori motivi che tengono gli investitori internazionali lontani dal nostro Paese. Insieme al peso della tassa ‘ufficiosa’ esatta ormai quasi ovunque dalla malavita organizzata e alle irregolarità delle gare di appalto di cui sono ogni giorno pieni i giornali.
Insomma fino a questo punto è inevitabile considerare l’annuncio del capo del nostro governo solo una ennesima promessa priva di concretezza, utile per distrarre l’opinione pubblica dal mancato rispetto delle precedenti. Tanto qualcuno ci crederà, comunque.
Più preoccupante è la contropartita che, nel ‘patto’ che viene proposto gli italiani, viene richiesta agli Italiani: avere mano libera sulle ‘riforme’, che finora sono state essenzialmente finalizzate a comprimere gli spazi di democrazia e di autodeterminazione garantiti dalla nostra Costituzione repubblicana e fortemente avversati dal mondo della speculazione internazionale. Insomma una manciata di euro (se va bene) in cambio della rinuncia alla sovranità che ci spetta come cittadini e della pretesa di decidere chi mandare in Parlamento.