Alle elezioni europee del 2009 Forza Italia ottenne 10.807.327 voti, contro gli attuali 4.605.331. Anche il confronto con le più recenti politiche dello scorso anno non cambia segno: il PdL raggiunse i 7.332.972 voti. In entrambe i casi anche considerando la scissione di Alfano e i suoi 1.199.703 voti, negare la sconfitta appare missione impossibile.
Dunque Berlusconi ha clamorosamente perso consensi, senza possibilità di equivoci, e dovrebbe essere lecito sperare nella fine del suo ciclo ventennale.
Specularmente il PD ha innegabilmente vinto, guadagnando oltre due milioni e mezzo di voti in un anno e ridimensionando anche il trionfalismo di Beppe Grillo, che lascia sul campo quasi tre milioni di voti.
Se consideriamo la caduta della partecipazione (dal 75,18% del 2013 al 58,7 di quest'anno) le perdite si ridimensionano parzialmente, ma la crescita del PD ne esce ingigantita.
Non so se, come dice Renzi, abbia vinto la speranza sulla paura. In realtà penso esattamente il contrario: che la paura degli eccessi di Grillo e, in altro senso, della impotenza di un Berlusconi indebolito e, forse, demotivato abbia convogliato sulla figura rampante di un nuovo 'uomo del destino' voti della più varia provenienza.
Rimane il fatto che, eccezionalmente, una unica forza politica ha ottenuto dall'elettorato una ampia investitura, che supera il 40% dei voti validi e rompe una stagione di sostanziale equilibrio.
Dunque ora sarebbe veramente possibile, come ossessivamente ripetuto in campagna elettorale, 'cambiare verso' in questa Italia debilitata dal parassitismo della evasione fiscale, appesantita dalla presenza delle mafie, sfregiata da un conflitto di interessi incomprensibile per gli osservatori esteri e che ci relega agli ultimi posti delle classifiche sulla libertà di informazione.
E anche rimediare rapidamente ai guasti dei governi berlusconiani e delle leggi ad personam, cui maggioranze diverse ma traballanti non hanno saputo o potuto finora porre rimedio: restituire progressività al sistema fiscale, riportare a efficienza l'amministrazione della Giustizia, rendere efficace la lotta alla corruzione.
Eppure le prime dichiarazioni di intenti del trionfante presidente del consiglio e dei suoi collaboratori sono state invece tutte dedicate a confermare gli accordi (ancora piuttosto opachi) assunti, in forma privata e in sede non istituzionale, con un leader politico sconfitto e condannato dalla Magistratura, e a imporre un percorso accelerato per riforme istituzionali la cui necessità e urgenza non è mai stata dimostrata e sulla cui ragionevolezza è lecito avere più di un dubbio.
Se dunque Berlusconi ha perso, non altrettanto si può dire delle sue idee e dei suoi programmi sul piano istituzionale, che gli Italiani riuscirono a bloccare col il referendum del 2006 e che sono assai simili alle nuove proposte di riforma. Così come sarebbe estremamente difficile affermare che la nuova legge elettorale Verdini-Renzi sia essenzialmente diversa da quella bocciata nel gennaio scorso dalla Corte Costituzionale.
Renzi ha dimostrato l'efficacia della immagine che si è costruita in puro stile berlusconiano a colpi di annunci mirabolanti (spesso rapidamente contraddetti) e di slogan a effetto ma lontani dalla realtà, sfruttando l'esasperazione della opinione pubblica verso una classe dirigente incapace e eticamente indegna, e con la arroganza di una proclamata autosufficienza che rifiuta il dialogo e criminalizza il dissenso.
Anche se l'esito del 25 maggio, frutto di una campagna elettorale centrata sullo scontro indiretto fra tre leader che non si sono mai confrontati su temi concreti, non rimedia alla anomalia di un Parlamento nato da una legge elettorale incostituzionale (quindi non rappresentativo della volontà popolare) e di una coalizione di governo a 'geometria variabile' fra forze che dovrebbero invece essere alternative, il segretario del PD è ora molto più stabile e potrebbe affrontare i reali problemi del Paese da posizioni di forza.
La scelta di proseguire invece sul terreno dello stravolgimento del sistema istituzionale indebolendo gli organi di controllo e garanzia, di comprimere i diritti del mondo del lavoro, di accreditare personaggi squalificati come 'padri della Patria' e di irridere al dissenso espresso da tanta parte del mondo della cultura e del diritto, costituirebbe una esplicita scelta di campo che collocherebbe il PD definitivamente nell'area di centro-destra, come legittimo continuatore del berlusconismo; evidenziando ancora di più l'assenza nel nostro Paese di un soggetto politico di sinistra laica in grado di affrontare con la necessaria lungimiranza i veri problemi di un mondo in rapida evoluzione.