Se questo blog (http://albertocacopardo.blogspot.it/) non parla di politica ormai da tanti mesi,
non è certo per mancanza di cose da dire. Al contrario, semmai, è per l’eccesso
di pensieri e di emozioni suscitati dall’evolversi di una situazione politica che,
a livello nazionale e internazionale, dovrebbe indurre qualsiasi mente che non sia
distratta o ottenebrata ad oscillare fra abissi di devastata desolazione e culmini
di vertiginosa indignazione.
Sul piano internazionale, alimenta la desolazione constatare
come, con tutti questi anni di crisi artificiale, non si sia minimamente
provveduto ad intaccare quei diabolici meccanismi dei mercati finanziari che ne
sono stati la causa prima e lo strumento, mentre ci si affanna a litigare sulle
loro conseguenze come se alle cause non ci fosse rimedio possibile. Alimenta la
più ardente indignazione, dall’altra parte, vedere un Medio Oriente devastato
dal conflitto e dall’odio, dall’arroganza cieca di vecchi e di nuovi poteri,
dalla sete di sangue di chi ad essi si è opposto e si oppone, sotto lo sguardo
segretamente compiaciuto delle solite potenze occidentali che apertamente
(poco) o di nascosto (molto) tirano le file di un dramma da cui ciecamente si
credono tanto più sicuramente destinate ad uscire vincitrici, quanto più
selvaggiamente infuriano i conflitti e l’odio. La Siria in fiamme e il suo
futuro un incubo, l’Egitto in bilico fra speranze quasi prive di speranza e
disperazioni senza quasi via d’uscita, la Libia in mano a bande d’assassini.
Sul piano nazionale, il dramma è più soffuso e vellutato:
dal vicolo cieco delle ultime elezioni, siamo usciti su un vasto stradone che non
si sa dove possa portarci se non ci porterà alla catastrofe. Riguardando con un
certo distacco agli eventi degli ultimi due anni, sembra di scorgere una
successione di bivi fatali in cui sempre si è imboccata la strada sbagliata.
Nel novembre 2011, Berlusconi è alle corde dopo lo scandalo
Ruby e tutti gli altri misfatti. Sembra che il paese stia per liberarsi per
sempre da quella pesantissima ipoteca che grava da vent’anni sul suo destino: e
cosa fa Napolitano? Invece di sciogliere le camere e andare dritto dritto alle
elezioni, mette su il governo Monti. All’epoca, quando Rosy Bindi annunciò in
televisione quell’intento, definii la prospettiva un vero incubo. Ora che, con
bel costume italo-americano, tutti danno addosso al perdente, sarebbe facile
vantarsene. Non lo farò. Dovetti ricredermi. Forse, fatte le elezioni a
dicembre e levato di mezzo Berlusconi, le cose sarebbero andate in effetti un
po’ meglio. Ma il fatto è che Monti se la cavò egregiamente in quella “impresa
difficilissima”, riuscì a ridurre quasi al minimo i danni imposti dai potentati
politico-finanziari internazionali che tanto se l’erano coccolato e poi, al
momento di decidere che fare davanti alle elezioni, cosa fece? Invece di
starsene tranquillo al di fuori della mischia guadagnandoci in prestigio e
prospettive d’impiego, si presentò al giudizio popolare con la faccia di chi ha
fatto tutti i danni.
Uno dei più grossi problemi della democrazia risiede nel
fatto che le qualità necessarie per governare non hanno proprio nulla a che
fare con le qualità necessarie per vincere le elezioni. (E qui, dato che
appunto sto leggendo Proust, posso permettermi di aprire una parentesi: Renzi,
per esempio, ha ben poche qualità per governare e ancor meno per innovare,
essendosi fermato a Tony Blair, ma ne ha diverse di quelle che servono per
farsi eleggere, anche se non all’altezza di Berlusconi, mancandogli, per
esempio, tre televisioni, le quali solo secondo D’Alema, un altro che ha sempre
capito ben poco, non sono poi qualità così importanti). Monti, comunque, ha
qualcosina delle prime, nulla del tutto delle seconde. Credevo che avesse l’intelligenza
per capirlo da solo, invece dimostrò di no. Montagne di voti che sarebbero
potute andare almeno al centro andarono a finire a Berlusconi. E questo fu il
secondo bivio.
Il terzo bivio l’ha trovato Grillo. Poteva astutamente
raccogliere i frutti della sua fortunatissima campagna sostenendo un governo
Bersani da condizionare con peso determinante in direzioni magari altamente
positive: e invece si è messo a fare soltanto capricci e bisticci penosi. Buon
pro gli faccia, dicono i suoi fan.
Al quarto bivio ritroviamo Napolitano, quel grande maestro
delle strade sbagliate. Dopo aver en
passant gettato nel fango la dignità dell’Italia ricevendo con tutti gli
onori al Quirinale gli autori di un omicidio quanto meno colposo, che avevano
comunque commesso l’idiozia più grossa della loro vita (i due cosiddetti marò,
per chi non l’avesse capito); dopo aver perso l’occasione di tacere quando
Schultz commentò signorilmente le elezioni italiane indicando con lieve
imprecisione il mestiere di Grillo e con troppa benevolenza le colpe di
Berlusconi (la storia dei due clown, ricorderete), avrebbe potuto avere uno
scatto di quella fantasia che gli è sempre mancata dando l’incarico a Grillo. Lo
avrebbe cacciato in un bel guaio, ma forse valeva la pena di provare. Grillo
può forse fare tanti danni, ma mai di certo quanto Berlusconi.
Ma questo Napolitano non lo capisce. A lui Berlusconi sembra
una cosa normale, un brav’uomo di centro-destra che non si deve disturbare più
di tanto, mica quell’aspirante despota di destra estrema che è ed è sempre
stato. Grillo, invece. per lui è solo un clown. Così l’amato presidente ha
fatto esattamente quello che gli chiedeva il despota mancato: ma non prima di
aver sbagliato strada al quinto bivio. Quello dove avrebbe potuto
tranquillamente lasciare che il parlamento andasse alla sedicesima votazione,
come per Scalfaro e Pertini, o alla ventunesima, come fu per Saragat, o alla
ventitreesima, come per Leone. Poteva uscirne un presidente eletto dal Pd, da
Vendola e da Grillo, finalmente un uomo contro Berlusconi. Invece no. Bisognava
proclamare l’emergenza nazionale alla sesta votazione, additare lo sfacelo del
Pd, come se la Dc
fosse in sfacelo quando si accoltellavano i suoi capi per far fuori Andreotti o
Forlani.
Non c’è salvezza senza Berlusconi! Solo Napolitano l’ha capito! Un
coro di ottenebrati e di furfanti si levò nel profondo della notte. L’amato
presidente poteva veramente fare a meno di prestarsi a quel gioco desolante.
E invece no, si è sacrificato, poverino. E il bello è che si
è sacrificato davvero, perché non aveva proprio nessun desiderio di rischiare
di morire al Quirinale. La cosa più triste è che non c’è stata ombra di
arroganza o di ambizione o di attaccamento al potere in questa scelta di
Napolitano: c’è stata solo l’incapacità di comprendere. Di comprendere, in
particolare, che cosa rappresenti Berlusconi.
E così ci ritroviamo col governo Letta, dopo aver sbagliato
strada al sesto bivio, sempre grazie al vigile Napolitano, conclamato salvatore
della patria. Perché al sesto bivio si doveva scegliere: o fare un governo d’emergenza,
con l’unico proposito di fronteggiare la crisi finanziaria e andare alle nuove
elezioni dopo la riforma elettorale, oppure fare un pateracchio spaventoso,
infilando fra gli improbabili propositi una bella riforma costituzionale, di
cui nessuno sentiva il bisogno se non Berlusconi e i suoi ciechi aiutanti del
Pd. Diretta a rafforzare i poteri del governo, incatenare l’odiato parlamento, e
mettere il potere nelle mani di chi ha tutte le qualità per farsi eleggere, fra
cui le sue belle televisioni, e nessuna di quelle che servono per governare
secondo i principi di uguaglianza, fratellanza e libertà proclamati due secoli
or sono dalle menti migliori dell’Occidente e consacrati nella nostra
Costituzione. E tutto ciò col beneplacito di Renzi, che forse sogna di fare lui
il despotino, senza accorgersi che gli manca qualcosa, e non solo le tre
televisioni.
Ce n’è abbastanza per parecchia desolazione. E magari per
un po’ d’indignazione, se non siamo del
tutto ottenebrati. Ma attenti: c’è fuoco sotto le ceneri, non disperiamo, questa
riforma non andrà lontano, questi signori non l’avranno vinta.