C'è chi dice no

di Francesco Baicchi - 08/09/2015

 C’è chi dice sì!’. Riecheggiando, se ricordo bene, una vecchia canzone, il capo del nostro attuale governo ha trovato un nuovo slogan da ululare alle folle inneggianti dei suoi comizi. Dividendo gli Italiani fra quelli che lo applaudono e gli altri.

Ecco, non si sarebbe potuto esprimere meglio l’idea del Paese che questo giovanotto non eletto da nessuno vorrebbe realizzare: un popolo che dice sempre sì e crede ciecamente a tutti i suoi annunci, anche i meno probabili.

Ma la differenza fra chi dice sempre sì e noi, ‘gli altri’ (professoroni, gufi, ecc…), è la stessa che passa fra i sudditi di un regime autoritario e i cittadini di una democrazia, che rivendicano il diritto di esercitare quella sovranità che il primo articolo della nostra Costituzione ci riconosce.  

 Dire sì a una campagna di ‘riforme’ che progressivamente sta cancellando diritti e garanzie di legalità ed eguaglianza in cambio di un nuovo benessere, per ora solo promesso, o del mantenimento di privilegi inaccettabili può essere sicuramente più facile che impegnarsi a interpretare gli effetti cumulati di questa progressiva erosione delle istituzioni democratiche.

Scaricare su qualcun altro le responsabilità di gestire una situazione oggettivamente difficile, riservandosi magari lo spazio del mugugno e della protesta becera, è meno impegnativo che informarsi, mettersi in gioco,  dichiarare il proprio dissenso e pretendere di essere ascoltati.

Il balcone mediatico fornito dalla quasi totalità dei mezzi di (dis-)informazione di massa, in gran parte dipendenti dai contributi pubblici,  facilita l’accettazione anche delle dichiarazioni meno credibili, delle slides, delle battute da bar di paese.

Quando i Costituenti, nel tentativo di impedire la rinascita dello sconfitto fascismo, trovarono la convergenza quasi unanime su una Carta mirabilmente equilibrata e in grado di garantire contemporaneamente la stabilità amministrativa e la possibilità per i cittadini di esprimere la propria volontà non solo col voto ogni cinque anni, non pensavano certo che a questo diritto gli Italiani avrebbero voluto rinunciare. Non potevano certo pensarlo, dopo il dolore e il sangue che era costato conquistarlo.

Renzi dice che ‘quelli che dicono sì’ sono un’ampia maggioranza, se ne attribuisce la rappresentanza e continua impunemente a violare norme, regolamenti parlamentari, sentenze della Corte Costituzionale e la stessa Costituzione. La vicenda del ritardo con cui il governo ha trasmesso gli ultimi decreti del Job’s Act al Presidente della Repubblica, senza reazioni percepibili da parte di questo ultimo, sembra dimostrare che la sua arroganza non ha più contrappesi.

Eppure c’è ancora chi si ostina a voler capire, a denunciare l’illegalità, a spiegare le conseguenze (anche sul piano economico e sociale) di scelte irragionevoli e piegate all’interesse di pochi, a esprimere dissenso e pretendere di essere ascoltato.

C’è ancora una parte del Paese che non dice sì; magari, purtroppo, talvolta si limita a non scegliere, portando oltre il 50% il livello delle astensioni  alle consultazioni elettorali.

Noi, contrariamente al disinvolto capo dell’attuale governo, non abbiamo le sue doti divinatorie e non sappiamo se quest’area è maggioranza, perché in violazione della sentenza della Corte Costituzionale del gennaio 2014, l’attuale parlamento (composto grazie a una legge dichiarata incostituzionale), rimane in carica nonostante le centinaia di migrazioni da un partito all’altro e il quotidiano tradimento dei programmi elettorali che erano stati presentati nel 2013. Sappiamo però comunque che non è un’area trascurabile, né per il numero né per la qualità di quanti ne fanno parte.

Renzi deve rassegnarsi: ci sono tanti Italiani che dicono no e si rifiutano di tornare indietro di un secolo alla condizione di sudditi; non riuscirà a farli tacere.

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