Secondo Matteo Renzi chi non condivide le sue ‘riforme’ è semplicemente un conservatore che ‘non vuole cambiare’. Slogan estremamente efficace: chi non vuole ‘cambiare’ quando le cose vanno male?
Ma cosa deve cambiare? E, soprattutto, chi?
La tesi principale del ‘Matteo-pensiero’ sembra essere che la democrazia rallenta le decisioni, mentre un regime autoritario che conferisce a una sola persona tutti i poteri è più ‘veloce’.
Come se le decisioni politiche invece che in giuste o sbagliate dovessero essere divise in veloci e lente.
Eppure questi primi mesi del terzo governo imposto dall’ex-re Giorgio ci hanno dato la misura di quanti danni si possono fare ‘velocemente’: tutti gli indicatori economici sono peggiorati, il mercato del lavoro è stato pesantemente sbilanciato cancellando i diritti dei lavoratori e rendendo la precarietà ‘normale’, la violazione della Costituzione è stata quotidiana, la disinformazione della pubblica opinione una pratica abituale, la pressione fiscale (nonostante gli 80 euro propagandistici) non è affatto calata. Il Parlamento dei non-eletti, grazie a una maggioranza frutto di ingegnerie incostituzionali e accordi segreti, è arrivato a bloccare l’esame in aula di riforme istituzionali fondamentali in aperta violazione dei diritti delle minoranze; è proseguito l’abuso della decretazione d’urgenza, con l’aggravante della ripetuta violazione dell’articolo 77 Cost. e l’incertezza sui testi, approvati dal Consiglio dei Ministri ‘sulla fiducia’ e cambiati all’ultimo minuto per accordi extra-istituzionali.
Opporsi a questa deriva significa essere conservatori, o solo rivendicare che si cambi in meglio, invece di ripetere percorsi di cui il nostro Paese ha già pagato il prezzo quasi un secolo fa?
Sinora Renzi, il ‘rottamatore’, ha sostanzialmente confermato i peggiori aspetti della vecchia politica, occupando quasi tutte le posizioni di potere con personaggi a lui legati da interessi più o meno trasparenti, assegnando incarichi a persone fedeli anche se oggettivamente impreparate e depotenziando i ruoli che non controlla, praticando una strategia degli annunci, quasi mai seguita da provvedimenti concreti o corrispondenti alle previsioni.
Certo che il nostro Paese e l’intera Europa devono ‘cambiare verso’, e devono farlo quanto prima, per reagire a politiche sbagliate che sconvolgono il nostro tessuto sociale, concentrano la ricchezza in un numero sempre minore di soggetti, spingendo la maggioranza delle persone oltre il limite della povertà, fanno risorgere il fantasma della guerra alle porte, distruggono l’ambiente con una cementificazione dissennata e sprecano risorse essenziali, cercano di soffocare l’informazione libera e di impedire l’espressione del dissenso.
Dobbiamo ‘cambiare verso’ riappropriandoci del diritto democratico di decidere del nostro futuro, che non può essere asservito all’arricchimento senza limiti di una minoranza (1%?) senza scrupoli che gestisce il sistema bancario e la finanza internazionale di rapina.
‘Cambiare’ in Italia significherebbe finalmente combattere con coerenza e efficacia la corruzione, l’evasione fiscale, la malavita organizzata, il trasformismo, il monopolio della informazione, i privilegi.Non inventarsi cavilli e emendamenti che garantiscono i colpevoli e nemmeno tenere bloccati per mesi i provvedimenti veramente urgenti, come la reintroduzione del reato di falso in bilancio e norme efficaci contro i corrotti e i corruttori.
‘Cambiare’ richiederebbe finalmente una politica economica seria, che concentrasse le risorse recuperabili dalla cancellazione delle inutili ‘grandi opere’ e dell’acquisto degli F35 nel sostegno alla ricerca, all’innovazione, alla nascita di nuove imprese e alla sicurezza ambientale.
Un vero cambiamento sarebbe cercare finalmente di realizzare il sistema di diritti e doveri contenuto nella Costituzione,applicarne fedelmente le procedure, restituire a un Parlamento che sia rappresentativo della volontà popolare la sua funzione decisionale, perseguire l’obiettivo di eguaglianza e giustizia sociale indicato nell’articolo 3.
Questo è sembrato anche il senso delle prime parole di insediamento del nuovo Presidente della Repubblica.
Come spiegare allora la conferma della volontà di ‘cambiare tutto per non cambiare niente’, dando priorità assoluta alla approvazione di una legge elettorale che presenta la stessa deformazione della volontà popolare del ‘porcellum’ e di una ‘riforma’ costituzionale che cancella di fatto la separazione dei poteri, concentrandoli nelle mani del capo del governo?
Ora le grottesche vicende del patto del Nazareno rischiano addirittura di essere strumentalizzate per creare una falsa contrapposizione fra i due contraenti di un accordo che punta allo stesso obiettivo di conservare il potere a chi già lo ha.
La vera divisione è fra chi intende consolidare il sistema oligarchico frutto del ventennio berlusconiano utilizzando ancora gli strumenti del trasformismo e della corruzione, e le nuove forme di espressione del dissenso, che, nonostante lo spazio quasi inesistente concesso loro dai grandi mezzi di comunicazione, sono attive e organizzate nel tessuto sociale e puntano a far nascere anche in Italia, come è accaduto in Grecia e in Spagna, una forza in grado di far cambiare veramente il nostro Paese e l’intera Europa.