Cambiare tutto

di Francesco Baicchi - 27/08/2014

Le ripetute dichiarazioni di Renzi e dei suoi fedeli seguaci non lasciano dubbi sul programma proclamato dall'attuale segretario del PD: cambiare tutto; insomma velocizzare, sbloccare.

E' già stata fatta ironia sul celebre 'L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare.' di Bartali. Forse Renzi si è ispirato a lui. Ma mentre sulla sincerità del campione fiorentino nessuno può nutrire dubbi, su quella dell'attuale capo del governo dalla doppia maggioranza le perplessità sono più che legittime.

Certo i suoi metodi arroganti da bambino viziato che si sente garantito da sostenitori importanti (si trovino a Arcore o sui colli romani) sono una novità che può aver colpito la fantasia di una parte degli italiani, che, esasperati dall'immobilismo di una casta politica imbelle, lo applaudono come qualunque divo televisivo.

Anche certi bagni di folle plaudenti, come quello di San Rossore, ricordano molte altre piazze e qualche balcone di un passato più o meno recente.

Ma in concreto quali sono i cambiamenti che ci vengono presentati ogni giorno ossessivamente con tutti i mezzi di comunicazione?

Vediamone alcuni, partendo dalla sciagurata riforma costituzionale. Il superamento del bicameralismo perfetto in sostanza nasconde il principale obiettivo del superamento della indipendenza dei tre classici poteri (legislativo, esecutivo e giurisdizionale), per concentrare il potere effettivo nell'esecutivo e subordinargli gli altri due; con un ammiccamento al presidenzialismo e la cancellazione del Senato. L'elezione diretta cioè di una specie di dittatore a tempo determinato cui il Parlamento non potrebbe negare la fiducia e che governerebbe mediante editti.

Ma purtroppo questa non è una novità: già oggi un Parlamento di nominati, che rispondono ai segretari dei partiti invece che agli elettori, esaurisce praticamente la propria funzione con l'obbligo di convalidare (a colpi di voti di fiducia) decreti governativi che sempre più spesso non rispondono ai requisiti di necessità e urgenza richiesti dalla Costituzione. E' una delle caratteristiche del berlusconismo cui l'attuale Presidente della Repubblica non ha saputo o voluto opporsi e che l'attuale governo prosegue serenamente.

Anche la nuova legge elettorale, al di là di alcune invenzioni tecniche (pessime) come il ballottaggio di lista, ripete sostanzialmente, aggravandole, le caratteristiche di incostituzionalità della precedente, anche quelle sancite dalla Corte Costituzionale: impossibilità a scegliere da chi farsi rappresentare, 'premio' che fa della principale minoranza una maggioranza blindata, cancellazione di milioni di elettori cui viene preclusa la rappresentanza parlamentare a causa di 'soglie' che in altri Paesi (Germania per esempio) sarebbero impensabili.

Quindi dal punto di vista istituzionale, in realtà, le 'riforme' non cambiano la situazione di fatto: si limitano a legittimare le ripetute violazioni della Costituzione di questi anni.

Una strategia che ricorda la cancellazione del reato di falso in bilancio, che ha consentito ad alcuni noti signori di non essere perseguiti dalla Magistratura, o di essere assolti perché 'il fatto non costituisce più reato'.

La volontà di 'cambiare tutto perché nulla cambi' è poi confermata proprio dal metodo spregiudicato, ma non certo nuovo, di circondarsi di personaggi secondari, passivi e riconoscenti esecutori che non offuscano l'immagine del leader e che possono essere facilmente scaricati. Strategia che cambia radicalmente quando si tratta di nomine 'lontane' e il cui operato non può essere ricondotto alla responsabilità centrale, come nel caso dei presidenti di Regione: la ricandidatura di Rossi in Toscana e le candidature per sostituire Errani in Emilia-Romagna, per citare due casi che non costituiscono esattamente un esempio di 'novità'.

Più difficile è dare una valutazione su quel pochissimo che è stato fatto, o anche solo annunciato negli altri campi. Certo anche qui non è una novità l'idea di riscrivere lo Statuto dei Lavoratori per non confessare che l'obiettivo è la cancellazione dell'articolo 18 e del valore dei contratti nazionali di lavoro, e la 'normalizzazione' del precariato: sono anni che le parti più arretrate di Confindustria lo chiedono.

La novità sarebbe stato riconoscere come irrimediabilmente sbagliata la strategia di inseguire la competitività operando solo dal lato del costo del lavoro, e non della innovazione, della ricerca, della qualità e rimuovendo i costi impropri dovuti al dilagare della criminalità e della corruzione.

Rimane lo spot pubblicitario degli 80 euro, che ha funzionato molto bene dal punto di vista elettorale, anche se concretamente molto ridimensionato sia nelle sue dimensioni che nei suoi effetti, e che in larga parte viene annullato dalla riduzione e dalle privatizzazioni di alcuni servizi pubblici, dall'aumento dell'imposizione sugli immobili, dall'incertezza della sua conferma nel tempo.

Ma anche qui la vera novità sarebbe stata invece la cancellazione dei privilegi fiscali della Chiesa, delle banche, dei grandi esportatori di capitali, la reintroduzione dell'imposta sulle grandi successioni, la lotta alla grande evasione fiscale.

Il vero pericolo è che il cambiamento venga dai cittadini, che sottoposti a una martellante disinformazione su quanto sta accadendo, stanchi e sfiduciati, potrebbero rinunciare al loro diritto di decidere del proprio futuro, accettando un regime plebiscitario che cancellerebbe la centralità del Parlamento per trasferire tutto il potere a una persona sola, capo del partito unico e del governo. Questo sarebbe il vero tradimento degli ideali che unirono, nel pluralismo delle idee, i Costituenti nella stesura di una Costituzione antifascista pensata proprio per difenderci dal ritorno di 'uomini della provvidenza' e dal prevalere di un 'pensiero unico'.

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