Considerazioni sulle elezioni francesi

di Francesco Baicchi - 08/05/2017

Per riflettere sul significato delle 'presidenziali' francesi (magari prima di trarne indicazioni sulle nostre vicende nazionali), forse è opportuno ricapitolare alcuni dati:

  • al primo turno ha votato il 77,77% degli elettori; le 'bianche' sono state l'1,78% e le nulle lo 0,78%; rispettivamente, in valore assoluto, 659.997 e 289.337

  • al secondo turno i votanti sono stati il 74,56%, le bianche l'8,51% (3.019724) e le nulle il 2,96% (1.049.532)

  • Macron ha ottenuto al primo turno 8 656 346 di voti, che sono divenuti 20 753 798 al secondo; la Le Pen è passata da 7 678 491 a 10 644 118.

 

Provo a fare alcune considerazioni, che spero matematicamente esatte anche se non necessariamente condivisibili:

  • nonostante la 'scomparsa' di 9 candidati sugli 11 presenti, al ballottaggio la caduta della partecipazione è stata solo del 3,2%

  • le nulle sono aumentate di 760.195 unità (più che triplicate), anche se il sistema di voto francese rende meno probabile la nullità involontaria (si vota inserendo in una busta un tagliando col nome del candidato prestampato)

  • le bianche sono aumentate di circa 2,4 milioni (per rendere l'idea: più di quanto ha ottenuto al primo turno il candidato Hamon, del partito al governo con Hollande); si tratta oggettivamente della espressione di una profonda insoddisfazione, espressa nel modo più 'civico'

  • al ballottaggio Macron ha fatto convergere su di sé oltre 12 milioni di voti in più, contro i meno di 3 milioni conquistati da Le Pen, 1,7 milioni dei quali dovrebbero essere gli elettori di Dupont-Aignan che la LePen si è affrettata a indicare come capo del 'suo' governo in caso di vittoria; ben poco dunque dovrebbe essere arrivato dai sostenitori di Fillon, candidato della 'destra repubblicana'.

Alcune conclusioni sono ovvie: in Francia (diversamente che in Italia?) l'antifascismo è ancora un valore determinante e la storia del FN fa ancora paura, nonostante lo 'sdoganamento' rivendicato dalla Le Pen. Anche se con numeri diversi si è ripetuto il 'muro repubblicano' che fece stravincere Chirac su Le Pen-padre in una occasione analoga.

Considerando 'fisiologica' una astensione del 25% di 'indifferenti', rimane un'area di circa 4 milioni di francesi (8,5% dell'elettorato), che si sono rifiutati di scegliere fra due candidati che disapprovano entrambi e che possiamo ragionevolmente attribuire alla sinistra.

Sinistra che, se non ci fosse stata la divisione fra Mélenchon e Hamon avrebbe agevolmente vinto le primarie (14,84+4,82= 19,66 contro 16,14 della Le Pen, senza considerare le sigle minori) e al secondo turno avrebbe consentito ai francesi una scelta più 'vera', anche se con un risultato finale non necessariamente diverso.

Naturalmente questa valutazione non tiene conto delle diversità programmatiche fra i due; vuole solo ribadire la profonda crisi del pensiero di una sinistra, che non solo non è l'esclusiva rappresentante delle fasce sociali più in crisi (che in parte hanno votato a destra), ma soprattutto non riesce a trovare un denominatore comune di fronte al dilagare dei miti del liberismo (meno stato, più mercato, concentrazione della ricchezza, cancellazione della solidarietà sociale, indifferenza ai disastri ambientali, ....) e dell'imperialismo guerrafondaio.

E' lecito creare parallelismi con la situazione italiana? Sicuramente non nel senso di identificare Macron, con un passato professionale e anche politico (come ministro di Hollande e come creatore di un suo movimento politico) che ne testimonia le capacità e lo stile 'istituzionale', con Renzi.

Sul piano dei programmi e degli 'sponsor' le analogie sono invece assai più numerose e pericolose.

La Francia tornerà alle urne l'11 giugno, per eleggere l'Assemblée Nationale (equivalente alla nostra Camera), e Macron, con il suo En Marche, ripartirà dal 18% ottenuto al primo turno. Anche se il tempo è limitato, vedremo se, superata la reazione antif-FN, otterrà una maggioranza 'sua' o dovrà adattarsi alla 'coabitazione' con un parlamento in grado di condizionare sensibilmente le sue scelte prevedibilmente di centro-destra.

Proprio questo bilanciamento dei poteri costituisce una caratteristica irrinunciabile per un sistema democratico, che deve basarsi sulla ricerca del massimo consenso. Ecco perché una legge elettorale che assegna a una forza politica minoritaria, anche se vincente, la maggioranza assoluta dei parlamentari, come l'italicum (anche nella versione emendata dalla Corte Costituzionale), è inaccettabile e pericolosa per la democrazia.

Nel nostro Paese l'emergenza democratica non è finita con la vittoria del NO al referendum del 4 dicembre.

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