DOPO LA SENTENZA

di Francesco Baicchi - 06/12/2013
Come al solito la sentenza della Corte Costituzionale sulla legge elettorale è subito diventata occasione per esercizi di fantasia e equivoci, specialmente da parte di quanti invece dovrebbero solo chiedere scusa, cioè i partiti che il porcellum l’hanno voluto o non l’hanno abrogato.

Intanto, contrariamente a quanto alcuni hanno affermato, la sentenza non è né inaspettata, né clamorosa; si è limitata a confermare quanto molti costituzionalisti affermavano da anni e la stessa Corte aveva già fatto indirettamente capire in altri pronunciamenti: la attuale legge elettorale contraddice platealmente il dettato costituzionale.

L'unica novità è la decisione di esprimersi così chiaramente, dopo che per anni la stessa Corte aveva evitato di affrontare un tema comprensibilmente assai delicato.

Purtroppo ora corriamo ancora una volta il rischio che la volontà convergente dei principali partiti trasformi questa opportunità di ritorno alla legalità costituzionale nell'ennesimo pretesto per un ulteriore tentativo di stravolgimento dei principi democratici su cui si fonda la nostra Repubblica.

Il pronunciamento della Corte potrebbe finalmente offrire l'opportunità per una riflessione più complessiva sui problemi della politica nel nostro Paese, a partire dal crollo della fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche. E' infatti difficile negare che la sfiducia nasca proprio dalla crescente distanza fra elettori e professionisti della politica, definitivamente sancita dalla impossibilità di scegliere da chi farsi rappresentare e dalla arroganza di chi pretende e difende assurdi privilegi, dimostrandosi assolutamente incapace di risolvere perfino i problemi più banali di funzionamento della nostra società.

Al contrario il dibattito che si sta sviluppando sembra in larga parte orientato ancora una volta a trovare il modo di consolidare i gruppi dirigenti che sono all'origine dell'attuale disastro, mentre dovrebbe semplicemente prendere atto che l'attuale Parlamento, per le modalità della sua composizione, è di fatto delegittimato e deve puntare con assoluta priorità a risolvere questa anomala situazione.

La Corte ha ribadito la possibilità per le Camere attuali di approvare una nuova legge elettorale e questo fa supporre che non ne richieda l’immediato rinnovo, ma non c’è dubbio che attribuisce indirettamente ad esse una data di scadenza non molto lontana da quella delle mozzarelle, escludendo conseguentemente una loro legittimazione ad affrontare le riforme costituzionali. Ferma restando la necessità di leggere, fra poche settimane, le motivazioni della decisione, ignorarne l’urgenza rinviando a tempi lunghi il ritorno alle urne costituirebbe un atto ai limiti della eversione.

D’altronde i giudici costituzionali sono stati attenti a lasciare in vita uno strumento elettorale immediatamente utilizzabile, cui si dovrà far ricorso se una nuova legge dovesse ancora tardare a causa degli interessi contrapposti delle varie cordate politiche.

Eppure emergono almeno quattro interpretazioni diverse degli effetti della sentenza: da chi vorrebbe semplicemente utilizzare i risultati elettorali di febbraio per una nuova ripartizione dei seggi che non tenga conto delle parti dichiarate incostituzionali del porcellum, a chi vorrebbe andare subito a votare con il proporzionale puro risultante dalle cancellazioni; da chi sollecita una nuova legge prima della pubblicazione della sentenza, a chi sostiene che il dibattito sulla nuova legge deve tener conto delle motivazioni del pronunciamento (e quindi deve essere successivo).

Intanto all’orizzonte rimangono il semestre della presidenza europea, che sospenderebbe tutto mantenendo in vita questo Parlamento delegittimato e, soprattutto, l'attuale governo fino al 2015, e l’indecente baratto proposto da Berlusconi fra approvazione della deroga all’articolo 138 (tanto cara a Napolitano e Letta) e la ‘riforma’ che cancellerebbe l’autonomia della Magistratura (con la grazia ‘motu proprio’ come premio, magari). C’è perfino chi sostiene che una nuova legge elettorale non può essere affrontata che dopo aver approvato le ‘riforme’ costituzionali che sembrano ormai l’unico vero obiettivo del governo e della presidenza della Repubblica.

Ancora una volta sulla necessità di recuperare la ormai vastissima area del disimpegno e dell’astensionismo e di restituire dignità e centralità al Parlamento sembrano prevalere il meschino interesse di bottega e il tentativo di sottrarre agli elettori il potere attribuito loro dall’articolo 1 della Costituzione. Riemergono così le tentazioni di imporre il bipartitismo forzato e di sterilizzare il quadro politico impedendo la nascita di nuovi soggetti rappresentativi del crescente dissenso anche nei confronti di una politica miope e conservatrice sul piano economico e sociale.

E’ dunque impossibile condividere l’ottimismo di quanti pensavano che la decadenza di Berlusconi e la cancellazione del porcellum aprissero automaticamente una fase nuova e costruttiva della storia del nostro Paese.

Appare invece quanto mai necessario un ulteriore impegno di quanti sin qui hanno difeso i principi di legalità e di democrazia opponendosi ai tentativi di trasformare il nostro sistema in una ‘dittatura della maggioranza’ e ora chiedono ai parlamentari di non approvare la violazione dell’articolo 138.

Di fronte a una classe politica che quotidianamente disattende la volontà popolare, anche se espressa con lo strumento formale del referendum, e ignora i vincoli di garanzia imposti dalla Carta costituzionale, è necessario ribadire con forza la richiesta di legalità e trasparenza attraverso l’apertura immediata nelle due Camere di un dibattito pubblico sul sistema elettorale, l’espressione da parte dei leader politici (compresi quelli impegnati nelle primarie del PD) delle loro concrete proposte in materia e la rinuncia a perseguire modifiche costituzionali per le quali questo Parlamento è ancora meno legittimato, e che potranno essere affrontate più serenamente da assemblee elette nel rispetto delle regole democratiche.

La strada per il ritorno alla 'normalità costituzionale' e la realizzazione dei principi di solidarietà, giustizia e legalità su cui è fondata la Repubblica è ancora lunga, ma rimane la via maestra.

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