Non conosco le reali motivazioni per cui il M5S si è rifiutato di approvare l’emendamento-canguro dell’on. Marcucci, ma condivido senza esitazioni la scelta, che non li rende certo responsabili dell’ennesimo ritardo nella approvazione di una norma, quella sulle ‘unioni civili’ che l’Italia aspetta da troppo tempo.
In realtà il ricorso a emendamenti ‘canguro’ contraddice clamorosamente l’articolo 72 della nostra Costituzione: “Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l'approva articolo per articolo e con votazione finale….”
Ne contraddice la lettera, perché rende inutile l’approvazione articolo per articolo, dato che sono tutti sintetizzati nell’emendamento approvato; ne contraddice lo spirito, perché rendendo inammissibili emendamenti ai singoli articoli successivi, impone la votazione a scatola chiusa della legge senza la possibilità di migliorarla, adattarla, renderla accettabile da un numero maggiore di cittadini.
E’ una delle tante violazioni costituzionali a cui ci siamo colpevolmente abituati, grazie anche al silenzio di quanti (i Presidenti della Repubblica, per esempio) avrebbero avuto il dovere e il potere di garantire proprio il rispetto della Carta.
Ancora più grave e scandaloso è il mancato rispetto della sentenza n.1/2014 della Corte Costituzionale, che, per il principio della ‘continuità dello Stato’ non dichiarava la decadenza di un parlamento formato con una legge incostituzionale, ma lo manteneva in vita solo in regime di ‘prorogatio’, cioè per un tempo limitato e non certo per tutta la legislatura.
La mancata attuazione, senza nemmeno motivazioni esplicite, di una sentenza della massima magistratura mette in discussione uno dei pilastri della civiltà giuridica, mentre il mantenimento del potere politico da parte di un partito che rappresenta una limitata minoranza di elettori (il PD ha ottenuto nel 2013 intorno al 25% dei voti validi) costituisce una aperta violazione del principio fondamentale della rappresentanza.
Potremmo citare altre violazioni della Costituzione, anche meno recenti. Il mancato esame parlamentare delle proposte di legge di iniziativa popolare (nemmeno una è stata discussa nella storia della Repubblica), l’abuso della decretazione d’urgenza abbinata al voto di fiducia, o il mancato rispetto dell’esito di referendum abrogativi: quello sulla ripubblicizzazione dell’acqua, per esempio.
L’accettazione passiva della sistematica violazione dei principi costituzionali è uno degli aspetti più gravi e pericolosi dell’attuale situazione perché ci riporta alla condizione di sudditi di un regime che non può più definirsi democratico, anche se mantiene la formalità del voto periodico.
Per troppo tempo, e forse per motivazioni tutt’altro che nobili, abbiamo accettato che il progetto di una società giusta, pacifica e solidale nato dall’antifascismo venisse progressivamente svuotato, anche se con livelli diversi di responsabilità, proprio da parte di quanti avrebbero dovuto essere al servizio dei cittadini: le assemblee istituzionali, le forze politiche che vi erano rappresentate e, al vertice, la Presidenza della Repubblica.
Ora la conseguenza peggiore rischia di essere una imperdonabile disattenzione (frutto certo della disinformazione) di fronte al tentativo di istituzionalizzare questi comportamenti patologici. Un po’ come se invece di punire chi ruba decidessimo che rubare non è più reato.
Questa è la reale posta in gioco quando parliamo delle modifiche istituzionali portate avanti dalla maggioranza Renzi/Verdini (in ordine alfabetico, non di importanza), che legittimano l’abuso di un potere centralizzato, senza controllo né garanzie, da parte di una minoranza, che solo una fantasiosa ingegneria elettorale trasforma in maggioranza parlamentare.
Il primo passo è impedire che l’entrata in vigore delle modifiche costituzionali e della legge elettorale (italicum) consegni il Paese nelle mani di gruppi di potere impegnati solo a occupare lo Stato ricorrendo a procedure, come il ‘canguro’, anche eticamente inaccettabili.
Occorre invece mantenere spazi di confronto pluralistici e restituire al Parlamento una effettiva rappresentatività della volontà degli elettori, per mantenere la speranza di una nuova classe dirigente e di scelte politiche che, contrariamente alle attuali, garantiscano anche sul piano economico e sociale eguaglianza e giustizia.
Per questo è necessaria una sonora vittoria del NO nel referendum costituzionale.