Ogni giorno che passa si delinea più nettamente il modello istituzionale verso cui ci stanno conducendo con i loro accordi segreti Berlusconi e Renzi.
L'insistenza con cui si ripete la priorità della individuazione immediata del vincitore 'la sera delle elezioni' sottintende l'indifferenza per la sua reale rappresentatività, che infatti può anche essere assai lontana dalla maggioranza degli elettori. Ne è la riprova il trionfalismo renziano per una vittoria alle europee che in termini assoluti gli assegna poco più del 20% dell'elettorato, ma la maggioranza assoluta della Camera.
Inoltre il 'modello' prevede un duello fra due leader, non il confronto fra idee e programmi diversi, che si presumono frutto della stessa logica (e in particolare della 'legge del mercato') e a cui comunque nessuno si sente vincolato.
Come dimostra la pretesa di interpretare il voto per il Parlamento europeo come una legittimazione, per esempio, dello stravolgimento della Costituzione, su cui i cittadini non si sono mai espressi. O anche l'accordo con Berlusconi dopo una campagna elettorale giocata nel 2013 sulla alternativa.
Ma nel nuovo modello il il vincitore non deve essere 'oppresso' da formalità e regole che possano in qualche modo limitarne i poteri. Deve quindi trascinare con sé una maggioranza ampia, che gli consenta di governare per l'intera legislatura e, soprattutto, deve essere cancellata l'autonomia di tutti gli organismi 'terzi' di controllo e garanzia. A partire dalla Corte Costituzionale, dal CSM e dalla Presidenza della Repubblica, salvo che si voglia passare alla elezione diretta del Capo dello Stato e fare del Presidente del Consiglio solo una figura meramente esecutiva.
Il ritorno alla centralizzazione delle competenze attualmente affidate alle Regioni e la compressione del potere dei cittadini di scegliersi gli amministratori locali con la 'riforma' delle province è in questo senso coerente.
Ogni giorno altre tessere, anche con motivazioni talvolta condivisibili, si aggiungono a completare il mosaico: il discredito dei vari soggetti attraverso i quali i cittadini esprimono la loro volontà nel corso della legislatura, come il sindacato; la cancellazione dell'articolo 67 Cost. che garantisce l'autonomia di giudizio dei parlamentari; l'attacco alla indipendenza della Magistratura; il tentativo di ridicolizzare (i 'professoroni', i 'gufi' ….) il dissenso derivante dal rifiuto motivato del 'pensiero unico' ossessivamente riprodotto da collaboratori, famigli e giornalisti compiacenti.
Mentre si sono perse le tracce dei provvedimenti possibili che riavvicinerebbero il nostro Paese alle grandi democrazie: divieto del conflitto di interessi e di posizioni dominanti nel settore della informazione, cancellazione delle leggi ad personam (per esempio sulla prescrizione giudiziaria), norme efficaci contro l'evasione e l'elusione fiscale, ecc …
Nei giorni scorsi Nadia Urbinati ha dato una efficacissima sintesi di questo schema, spiegando che le 'riforme' che l'attuale vera maggioranza (PD-Forza Italia, per intenderci) sta cercando di imporre sono figlie della idea che il cittadino debba essere solo l'arbitro del confronto politico, e non il protagonista. Certo è previsto che la formalità del voto rimanga, ma l'elettore avrebbe solo il potere di esprimere un giudizio a posteriori dell'operato del governo; un po' come il pubblico di uno spettacolo teatrale, che può applaudire o fischiare, ma non sale mai sul palcoscenico. E soprattutto non vede tutto ciò che accade dietro le quinte, ma solo ciò che altri decidono che veda. Come sta accadendo, appunto, degli accordi raggiunti al 'Nazareno' col pregiudicato padrone di Mediaset e Forza Italia, di cui sappiamo ben poco, anche se vengono continuamente richiamati come se fossero vincolanti. O dei colloqui per il trattato TTIP Usa-Europa, altrettanto opachi.
Ma la democrazia non è una recita: proprio in questa fase di grande difficoltà, di decisioni che richiedono un consenso che supera gli stessi confini nazionali (pensiamo all'ambiente, all'energia, ai grandi flussi migratori …) e della affermazione di rigurgiti nazionalisti, pensare di riportare indietro la storia agli inizi del secolo scorso cancellando le conquiste dei diritti di autodeterminazione e solidarietà è, oltre che sbagliato, pericoloso.