Il modello sbagliato

di Francesco Baicchi - 10/06/2013
Oggi paghiamo il prezzo di non averne pienamente rispettato i principi di eguaglianza, solidarietà e legalità, e di avere passivamente accettato, in particolare negli ultimi anni, la sua violazione degli equilibri su cui è stata costruita la nostra Repubblica.

E’ difficile negare che il ‘porcellum’, meccanismo nato per rendere ingovernabile il Paese in una fase in cui Berlusconi era convinto di essere sconfitto, abbia funzionato benissimo, consentendo il formarsi di paralizzanti maggioranze diverse nelle due camere e screditando un Parlamento di non-eletti, rappresentanti non dei cittadini, ma solo di una decina di oligarchi capi-corrente.

Forse proprio per queste sue caratteristiche, assai apprezzate dai vertici dei vari partiti, il governo Berlusconi-Letta ha deciso di rinviare la sua cancellazione al termine di un processo di ‘revisione’ costituzionale che gran parte del Paese auspica con si realizzi mai. In condizioni normali la motivazione del rinvio sarebbe stata ragionevole: inutile definire le procedure di elezione di un Senato che si intende cancellare. Ma, appunto, la situazione italiana non può certo essere definita ‘normale’, con un governo appeso ai capricci del più potente inquisito/condannato d’Italia, che può decidere in qualunque momento di interrompere la legislatura.

Bene fa dunque Renzi a richiamare i suoi del PDmenoL a un minimo di coerenza e di dignità, anche alla luce della crescita esplosiva delle astensioni alle recentissime amministrative, pericoloso quanto esplicito sintomo di una crescente insofferenza verso una classe dirigente screditata e sempre meno sopportata.

Molto meno accettabile è la proposta del vivace sindaco di Firenze, che vede la soluzione nel modello ‘dei sindaci’; cioè in una elezione diretta a suffragio universale del capo dell’esecutivo, o forse di un Presidente della Repubblica che, come sta discutibilmente anticipando Napolitano, sia in grado di condizionare pesantemente le scelte di governo.

Per Renzi il modello elettorale comunale si è dimostrato un successo.

Avrebbe ragione solo se accettassimo la tesi del professor D’Alimonte, da molti considerato il maggior esperto italiano di sistemi elettorali, che lo scopo delle leggi elettorali è solo quello di garantire certezza e stabilità degli esecutivi. Se invece riteniamo, come ad esempio la costituzionalista Lorenza Carlassare, che lo scopo del processo elettorale sia dare rappresentanza alla volontà popolare (come indica l’articolo 1 della nostra Costituzione), il giudizio non può che essere meno favorevole.

Per la legge attuale il Sindaco (e quindi, domani, il capo dell’esecutivo) è una specie di piccolo dittatore elettivo, che nomina senza alcun vincolo la ‘sua’ Giunta e i ‘suoi’ rappresentanti negli enti economici partecipati; la sua volontà è assai difficilmente contrastabile da un Consiglio che, con una altissima probabilità, ha una maggioranza formata dal suo stesso partito.

Si tratta comunque di un modello di successo? Al di là della auto-glorificazione di Renzi, a giudicare dal funzionamento di certi servizi essenziali, e dagli scandali di cui quotidianamente veniamo a conoscenza, spesso imputabili proprio ai più stretti collaboratori dei sindaci-padroni (come nel caso Alemanno), qualche dubbio sulle conseguenze negative di una tale assenza di limiti e controlli potrebbe venire, e sconsigliare una analoga concentrazione di poteri, che eliminerebbe la separazione fra i poteri legislativo e esecutivo, nel capo del governo nazionale.

Dobbiamo inoltre ricordare anche che il ‘modello comunale’ è molto simile a quello applicato in molte regioni per l’elezione del loro Presidente; e prima di considerare positivamente le esperienze dei vari Formigoni, Bassolino, Polverini, Lombardo, ecc… esiterei non poco.

Purtroppo l’idea che ‘un uomo solo al comando’ sia la migliore soluzione per gestire i destini di tutti, mutuata dal berlusconismo più delirante, rischia di trovare ampia accoglienza nell’opinione pubblica, disgustata da comportamenti ingiustificabili dei rappresentanti dei partiti e dalla loro incapacità, ma costituirebbe una medicina peggiore del male. Specialmente in assenza di quei contro-poteri che caratterizzano i sistemi presidenziali degli stati democratici: elezione separata del leader e delle Camere, rigide norme sul conflitto di interessi, garanzie per la libertà di informazione e contro l'eccessiva concentrazione della proprietà dei media, tutela delle minoranze, ecc...

La storia ci ha mostrato più volte le conseguenze della concentrazione del potere, che in questo momento rappresenterebbe un ritorno al passato, di fronte alle sfide di un futuro che ci impone invece una profonda riflessione sui nostri modelli sociali e economici. La guerra dilagante (nelle sue tante forme) in aree sempre più vaste del mondo, la scarsità di risorse essenziali per la vita ma non infinite, la sempre più ampia coscienza del divario delle condizioni di vita nei diversi continenti, la insofferenza per inaccettabili e assurdi privilegi e la loro crescente concentrazione possono essere affrontati solo con il consenso ottenibile dal coinvolgimento e la partecipazione popolare alle scelte politiche e con nuove regole per le relazioni internazionali. Il mito dell'efficienza e della 'governabilità' spinge invece verso il dominio di gruppi sempre più ristretti e sempre meno tolleranti, come dimostra la crescente violenza con cui, anche in Italia, vengono represse le manifestazioni spontanee dei cittadini.

La nostra Costituzione, nata proprio sulle ceneri di una guerra scatenata da governi rappresentativi di oligarchie indifferenti alle sofferenze dei loro popoli, ci ha consegnato gli strumenti democratici per evitare di cadere di nuovo nell'errore di affidare troppo potere a poche mani, assegnando al Parlamento e al confronto fra idee e culture diverse la centralità del sistema istituzionale.

Oggi paghiamo il prezzo di non averne pienamente rispettato i principi di eguaglianza, solidarietà e legalità, e di avere passivamente accettato, in particolare negli ultimi anni, la sua violazione degli equilibri su cui è stata costruita la nostra Repubblica.

Il 'modello dei Sindaci' ce ne allontanerebbe ancora di più.

 

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