Il soprintendente di Roma Francesco Prosperetti si deve dimettere. Ora: subito.
È comprensibile che nel disastroso, pazzesco quadro della vicenda dello Stadio della Roma le attenzioni si rivolgano in prima battuta alla politica: una volta tanto unita, sotto le insegne della corruzione.
Ma la lettura delle circa 40 pagine su 288 che l’ordinanza del Gip di Roma dedica alle circostanze in cui fu cassata la proposta di mettere il vincolo sull’Ippodromo di Tor di Valle non lascia alcun dubbio: Prosperetti non può rimanere al suo posto.
E questo a prescindere dall’eventualità che gli vengano contestati o meno reati. Allo stato delle conoscenze, il soprintendente è indagato, la sua famiglia sottoposta ad accertamenti patrimoniali. Ma il profilo penale è irrilevante, perché le dinamiche che emergono dalla intercettazioni citate dal gip bastano e avanzano a togliere ogni credibilità al massimo garante romano dell’attuazione dell’articolo 9 della Costituzione.
Nel febbraio del 2017 avevo salutato, sulle pagine di «Repubblica», la proposta di vincolo con queste parole: «È così che un paletto molto ingombrante, o addirittura esiziale, per la mega speculazione Parnasi è stato piantato proprio dagli uffici periferici del Ministero per i Beni Culturali. Il vincolo che ieri sera è stato firmato dalla soprintendente di Roma Margherita Eichberg non solo impedisce la distruzione dell’Ippodromo di Tor di Valle, tutelando un edificio importante (e, ironia della sorte, anche la memoria storica delle Olimpiadi romane del 1960), ma, bloccando praticamente i lavori in tutta la famosa particella 19, costringe la Conferenza dei servizi sullo Stadio a fermarsi. E ora si aprono due possibilità. La prima è che tutto il progetto si fermi, e che gli attori internazionali di questa speculazione migrino altrove, secondo le logiche rapaci della creazione del denaro dal cemento. La seconda è che invece si sia disposti a rivedere, correggere, riscrivere il progetto, sostituendo un vero parco all’attuale colata di cemento. Mille ragioni – dall’assetto idrogeologico di Tor di Valle al sistema dei trasporti – renderebbero preferibile la prima, più radicale soluzione: ma in ogni caso l’intervento della tanto denigrata ‘burocrazia’ della soprintendenza sta rendendo al futuro della città e al bene comune uno straordinario servizio».
Ma le cose non andarono così: perché quattro mesi più tardi, a giugno, il successore della Eichberg, cioè Francesco Prosperetti, archiviò la proposta di vincolo, facendone decadere gli effetti.
Con irrituale e ammirevole franchezza, Margherita Eichberg dichiarò al «Corriere della sera»: « Il vincolo aveva serie motivazioni ed era stato richiesto dai comitati tecnico scientifici del Ministero. Strano che Prosperetti abbia fatto una scelta diversa. Probabilmente non ha voluto deludere il Comune ... Pare quasi che ci sia un accordo. Alla fine Prosperetti sembra l’uomo della Provvidenza, peccato che sia un Soprintendente e non un mediatore d’affari».
Da parte sua Prosperetti si dichiarava, invece, affranto: « A me è toccato gestire l'ingloriosa chiusura di una vicenda nata male. Il vincolo è stato riconosciuto come inapplicabile ... Purtroppo è andata così ... Con il vincolo si rischia una causa milionaria Non ho preso questa decisione a cuor leggero. È stata forse la più difficile della mia carriera». E attaccava: « È evidente una grave impreparazione normativa per tutelare l'architettura del Novecento. Sapesse quanto ho faticato in passato per impedire la grave manipolazione di un altro edificio di Lafuente, quello della Esso».
Ebbene, oggi le intercettazioni esaminate dal Gip raccontano un’altra storia.
A maggio 2017 i rappresentanti del Gruppo Parnasi incontrarono Prosperetti grazie alla mediazione dell’avvocato Claudio Santini, già capo della segreteria del ministro per i Beni culturali Lorenzo Ornaghi. Santini, ora indagato per traffico di influenze illecite, viene incaricato di condurre l’operazione che porterà alla rimozione del vincolo: ed è per questo ricompensato con 53.440 euro – per giustificare il cui accredito sul proprio conto egli avrebbe emesso fatture false. Tutte circostanze che un eventuale dibattimento potrà confermare o smentire.
Ciò che, dalle conversazioni, risulta inoppugnabile è che Prosperetti in privato si è dimostrato assai sensibile all’obiettivo di Parnasi: che era quello di stroncare il vincolo sull’Ippodromo. Quello che emerge dalle telefonate è dunque un Prosperetti davvero molto diverso dal Prosperetti, affranto e polemico, che in pubblicò piangerà la cattiva sorte di quello stesso vincolo.
Il giudice è per esempio arrivato alla conclusione che sia stato lo stesso Prosperetti a suggerire ai Parnasi il nome dell’architetto cui affidare una ricostruzione parziale dell’Ippodromo: Paolo Desideri, che del soprintendente è amico, oltre che datore di lavoro della figlia Beatrice.
Dopo la scelta di Desideri, tassello cruciale della vicenda, si apre una vorticosa, fittissima serie di contatti tra il pubblico ufficiale che dovrebbe difendere il pubblico interesse (Prosperetti) e il privato imprenditore che cerca di modellare a proprio privato vantaggio la volontà e le determinazioni della soprintendenza (Parnasi, attraverso i suoi uomini). Lo scopo è affossare il vincolo in cambio del progetto Desideri: definito (dal dirigente del gruppo Parnasi Simone Contasta, che oggi è agli arresti) «uno scalpo».
Già, lo scalpo della tutela. Perché delle due l’una: o l’Ippodromo non meritava di essere tutelato e si poteva demolire, oppure doveva essere tutelato e il progetto dello Stadio doveva cambiare. Ma l’idea di ricostruirne un frammento fuori contesto è solo una trovata mediatica di valore nullo sul piano culturale: anzi, è una sorta di falso imbarazzante. Uno scalpo, appunto.
Anche in seguito – quando sarà l’architetto Clara Lafuente, figlia dell’autore dell’Ippodromo, a chiedere di apporre il vincolo; e poi quando Italia Nostra farà ricorso contro la mancata apposizione – i mediatori di Parnasi attiveranno i loro canali col soprintendente Prosperetti, mostrando di considerarlo immancabilmente dalla loro parte.
Sarà probabilmente un processo a dirci come sono andate davvero le cose. Ma davvero è sufficiente quanto si legge, per capire che Francesco Prosperetti non può continuare a essere il soprintendente di Roma.
«Alla fine Prosperetti sembra l’uomo della Provvidenza, peccato che sia un Soprintendente e non un mediatore d’affari»: l’amara constatazione di una servitrice dello Stato esemplare come Margherita Eichberg acquista ora un significato decisamente più profondo.