Il ventennio

di Francesco Baicchi - 18/10/2013
Prima di affermare che il 'ventennio berlusconiano' è finito non sarebbe male chiarire cosa si intende con questa definizione.

Negli ultimi venti anni Berlusconi è stato ininterrottamente ai vertici dello Stato, come Presidente del Consiglio o come ingombrante capo della opposizione poco importa: sappiamo ormai dalle dichiarazioni di diretti interessati che un sistematico ricorso alla corruzione gli ha sempre permesso di esercitare un innegabile potere di condizionamento.

Non essere riuscito per l'ennesima volta a sfuggire al giudizio dei tribunali interromperà questa parentesi ingloriosa della nostra storia?

Sappiamo tutti, lui per primo, che non ci sarà nessuna reale conseguenza sul piano della libertà personale e che il controllo di gran parte dei mezzi di informazione gli consentirà ugualmente di influenzare in modo determinante l'opinione pubblica (e quindi i risultati elettorali).

Nella migliore delle ipotesi a rimanere ferito sarà il suo smisurato egocentrismo, che lo ha portato a pretendere l'immunità assoluta e a considerarsi (perché sono convinto che ci crede veramente) un grande statista. Ma anche su questo piano l'impossibilità a candidarsi in prima persona potrebbe non impedirgli di continuare la sceneggiata su tutti gli schermi TV, come vero padrone e burattinaio del suo partito. Grillo docet.

Siamo dunque veramente convinti che il 'ventennio berlusconiano' stia finendo?

Ma l'irruzione dell'uomo di Arcore sulla scena politica non ha solo portato alla ribalta un nuovo protagonista, come accaduto ad esempio a suo tempo con Marco Pannella, o recentissimamente con Beppe Grillo.

Berlusconi ha portato con sé una contro-cultura dirompente, e, grazie alla insipienza dei suoi avversari (si fa per dire), l'ha imposta, modificando in modo forse irreversibile la nostra società.

Il suo successo è stato sin dall'inizio il frutto di una continua, esibita violazione delle regole. Ha dimostrato platealmente che 'il delitto paga', invertendo il titolo di un famoso film degli anni '60.

Che la volgarità, l'esibizionismo da 'nuovo ricco', il rifiuto di qualunque vincolo etico e morale non costituiscono un ostacolo per farsi accettare negli ambienti più esclusivi, comprese le gerarchie della chiesa.

Certo, fuori dall'Italia si è sempre riso di lui, non lo si è mai preso sul serio, salvo forse nelle corti di alcuni satrapi che hanno seguito il suo percorso di appropriazione del potere. Ma in Italia c'era, e c'è ancora, chi lo definiva 'statista', e raccomandava di non 'demonizzarlo'; magari lo accettava come interlocutore per modificare il sistema istituzionale. E invece di denunciarne i metodi li scimmiotta, accettando di scendere sul piano del leaderismo personale e della disinvoltura etica e cercando di ammansirlo approvando leggi ad personam e ad aziendam che gli hanno consentito di moltiplicare la sua forza.

La 'cultura' berlusconiana costituisce la negazione dei principi fondamentali su cui, finito tragicamente l'altro 'ventennio', quello fascista, è nata la Repubblica.

Alla solidarietà contrappone l'egoismo assoluto, alla eguaglianza la divisione della società in caste cui la legge si applica diversamente, alla giustizia la pretesa di impunità, alla ricerca del consenso democratico la 'dittatura della maggioranza', alla libertà e alla responsabilità il servilismo e la corruzione. Alla democrazia parlamentare, fondata sulla partecipazione civica e sul garantismo, contrappone l'accentramento del potere assoluto e la cancellazione della divisione tradizionale dei poteri legislativo, esecutivo e giurisdizionale.

Il dilagare di questa sottocultura rischia di essere la conseguenza più duratura del 'ventennio berlusconiano', e di prolungarne la scadenza oltre la sopravvivenza politica dello stesso Berlusconi.

La progressiva involuzione della prassi politica, favorita da indecisioni e complicità di quanti avrebbero dovuto opporvisi e invece forse ne sono stati tentati, ha trovato come unici ostacoli la nostra Costituzione e la Magistratura, che, unica e non senza eccezioni, ha difeso e mantenuto la sua indipendenza e il ruolo che la Carta le assegna.

Non a caso proprio lo stravolgimento della Costituzione è divenuto nel tempo per Berlusconi una ossessione cui ha dedicato una martellante e violenta propaganda. Fino al colpo di mano tentato nel 2005, con l'approvazione, grazie a un Parlamento asservito, di una 'riforma' che solo la vittoria del NO al referendum confermativo riuscì a scongiurare.

Una vittoria che oggi rischia di apparire inutile di fronte alla riproposizione da parte di una maggioranza parlamentare anomala e che non ha ricevuto alcun mandato in tal senso dagli elettori, di una procedura che, derogando dai vincoli previsti dall'articolo 138, apre la strada alla riscrittura di oltre 60 articoli della Costituzione.

Una procedura che appare assolutamente superflua per le finalità di razionalizzazione annunciate, e rende legittimo supporre che punti invece alla trasformazione della nostra repubblica in senso presidenziale e alla compressione dell'autonomia della Magistratura, obiettivi su cui sembrano convergere anche quelle cariche dello Stato cui i cittadini hanno invece affidato il compito di difendere la Costituzione e i principi di civiltà e progresso su cui si fonda.

Se gli uomini e le donne di questo Paese non troveranno, ancora una volta, il modo di impedire la cancellazione dei loro diritti e della speranza di un futuro di equità e giustizia, bloccando l'ennesimo attacco alla carta costituzionale e pretendendone invece l'attuazione, il berlusconismo avrà comunque vinto anche senza Berlusconi.

E l'era berlusconiana durerà assai più a lungo di un ventennio.

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