Se la ‘riforma’ entrasse in vigore:
il Senato verrebbe ridotto a cento membri; i senatori non sarebbero più eletti dai cittadini, ma scelti fra consiglieri regionali (74) o sindaci (21) con procedure che garantirebbero la presenza solo dei due o tre principali partiti. I nuovi senatori non darebbero la fiducia al governo (d’altronde assolutamente inutile con la nuova legge elettorale), ma interverrebbero nelle leggi costituzionali e nella elezione del Presidente della Repubblica, dei Giudici Cosrtituzionali, ecc… Per le altre leggi avrebbero di fatto solo il potere di esprimere pareri ininfluenti. I sentori godrebbero dell’immunità parlamentare.
La composizione del Senato sarebbe variabile perché legata alla durata dei vari consigli comunali e regionali.
Verrebbe introdotta la possibilità per il Governo di pretendere che una legge venga approvata entro 60 giorni; se non viene approvata nel termine, viene sottoposta a votazione senza possibilità di dibattito e di modifiche da parte del Parlamento. Sarebbe dunque possibile un ‘ostruzionismo di maggioranza’, che, rallentando i tempi, impedisca un dibattito trasparente e pubblico. Così l’attuale abuso della decretazione d’urgenza verrebbe reso permanente e il governo si impadronirebbe del potere legislativo.
Per l’elezione del Presidente della Repubblica la maggioranza assoluta sarebbe sufficiente solo dopo l’ottavo scrutinio e non dopo il terzo. Ma la maggioranza che la nuova legge elettorale garantirebbe al partito che ottiene più voti (anche se lontani dal 50%), la riduzione del numero dei senatori e l’esclusione dei delegati regionali garantirebbe l’elezione del PdR da parte di un solo partito: maggioranza necessaria 366 (50%+1 di 630 deputati+100 senatori), deputati assegnati col ‘premio’ al primo partito: 340; mancherebbero solo 26 voti, fra Camera e Senato.
I meccanismi di cui sopra condizionerebbero anche la composizione della Corte Costituzionale, che verrebbe ampiamente determinata da un solo partito, che disporrebbe dei 3 membri di competenza della Camera e dei 5 di nomina del PdR, su un totale di 15; inoltre sarebbe condizionante nella nomina dei 2 membri di competenza del Senato.
Con la riforma del Titolo V: verrebbero abolite definitivamente le province.
Le competenze delle Regioni verrebbero fortemente ridotte in molte materie; particolarmente importante l’accentramento a livello statale delle competenze su: governo del territorio, protezione civile, energia, infrastrutture ‘strategiche’, porti e aeroporti, professioni, comunicazione, attività culturali e turismo.
Il numero delle firme necessarie a presentare proposte di legge di iniziativa popolare passerebbe da 50 a 150.000.
Per i referendum abrogativi la auspicata modifica del quorum di validità con riferimento ai votanti alle ultime elezioni politiche verrebbe introdotta, ma solo nel caso in cui le firme raccolte siano 800.000 e non solo 500.000.
Verrebbero introdotti i referendum ‘propositivi e di indirizzo’, che presentano notevoli problematiche non affrontate dalla riforma.
Verrebbe abolito il CNEL.
Il ‘combinato disposto’ di questa riforma e della nuova legge elettorale ridurrebbe fortemente il ruolo del Parlamento, trasformandolo in un organismo di semplice ratifica della volontà del governo, nel quale verrebbero accentrati tutti i poteri (compresi quelli attualmente gestiti dalle Regioni) e che si reggerebbe su una maggioranza garantita non necessariamente corrispondente alla volontà degli elettori. Verrebbero indeboliti anche gli organismi di controllo e garanzia, cancellando la divisione dei poteri (legislativo, esecutivo e giurisdizionale) su cui si fondano tutte le moderne democrazie e che è garantita anche nei regimi democratici presidenziali.