Le cose non accadono quasi mai per caso, ma qualche volta fa piacere pensare alle coincidenze. Come quando la commemorazione di tre avvenimenti fondamentali, accaduti in anni diversi, si concentra in poche settimane e all'inizio della primavera.
Così in meno di 40 giorni siamo chiamati a festeggiare la Resistenza, la Festa del lavoro e la nascita della nostra Repubblica e della sua Costituzione, quasi a ricordarci i legami strettissimi fra democrazia, diritto al lavoro e dovere civile di partecipare responsabilmente alla vita della collettività, anche affrontando disagi e pericoli.
Giorni di festa, certo, ma non solo e non per tutti. Giorni in cui siamo chiamati ancora una volta a decidere da che parte stare e a trarne le conseguenze, perché a qualcuno ricordano vittorie e ad altri sconfitte, non sempre ancora accettate.
Quest'anno però le commemorazioni coincidono con un periodo particolarmente difficile e rischioso per la nostra democrazia. Alla crisi economica e sociale si somma quella istituzionale.
Il progressivo decadimento etico e culturale della 'casta' politica, decisa comunque ad autoperpetuarsi, ampliando la distanza e l'ostilità dei cittadini, sta mettendo in discussione i fondamenti stessi della Repubblica. Il monopolio quasi assoluto dell'informazione e il senso civico tradizionalmente scarso che ci caratterizza sta alimentando (di nuovo) la tentazione della ricerca di un 'uomo della provvidenza' cui affidarsi e su cui scaricare le responsabilità dell'eventuale fallimento. Come se la storia, non solo italiana, non ci avesse già mostrato le inevitabili drammatiche conseguenze di questa scelta.
Rifiutandosi di eleggere Rodotà, che avrebbe potuto autonomamente candidare senza regalarlo al M5S, il PD ha scelto di ignorare la esplicita richiesta di cambiamento espressa da due terzi dell'elettorato, compreso il suo. La motivazione (imbarazzata) espressa per questa decisione conferma che sull'interesse del Paese ha prevalso la necessità di non fare i conti con le sue componenti cattolica e di destra (non sono sinonimi), di cui Giorgio Napolitano è autorevole esponente.
Il nuovo governo Letta-Alfano, fortemente auspicato sin dall'inizio da Napolitano, contraddice clamorosamente gli impegni assunti in campagna elettorale dalla dirigenza del partito democratico; questo non può che minare ulteriormente il rapporto fiduciario che sta alla base del sistema democratico rappresentativo, diffondendo la sensazione che i suoi meccanismi siano corresponsabili di questo tradimento della volontà popolare.
Non è infatti facile giustificare il ritorno al governo, con poteri di ricatto e di veto, di un personaggio squalificato e indegno, responsabile di buona parte dei problemi del Paese, che nonostante il suo immenso potere economico e mediatico gli elettori hanno punito facendogli perdere buona parte del precedente consenso. Questa è l'impresa in cui sono riusciti, con responsabilità di diverso peso, il PD a causa delle sue divisioni interne e il M5S per l'incapacità di trasformare la generica protesta equivoco da cui è nato in efficace intervento politico.
Si apre ora una stagione estremamente pericolosa, nella quale i gravissimi problemi sociali e occupazionali conseguenti alla crisi economica rischiano di mettere in secondo piano i tentativi di stravolgere la nostra Costituzione e di consegnare definitivamente il Paese a Berlusconi, cancellando tutti i principi di legalità e democrazia. Come se i due problemi, giustizia e sviluppo economico, fossero indipendenti e potessero essere oggetto di scambio.
Non a caso Berlusconi promette e pretende la restituzione dell'IMU (tutto sommato una cifra irrisoria nel bilancio annuale di una famiglia e che andrebbe anche a chi per 'prima casa' ha una villa di 40 stanze) e blocca la lotta alla corruzione e all'evasione fiscale, il cui recupero permetterebbe di aiutare in modo assai più consistente le famiglie in difficoltà. E' facile prevedere che in molti seguiranno questa carota senza accorgersi del bastone che li minaccia.
E ancora non a caso il suo alter ego Alfano è stato messo a presidiare il ministero degli Interni, a garanzia che la lotta alla criminalità non divenga troppo efficace e i contatti stato-mafia proseguano indisturbati.
Intanto l'opinione pubblica (repetita juvant) sta progressivamente adeguandosi all'idea che l'elezione diretta di un presidente che sia capo dello Stato e dell'esecutivo costituisca una scelta quasi obbligata, di fronte alla inadeguatezza dimostrata dal sistema dei partiti e dai loro rappresentanti. In fondo il sistema presidenziale funziona, ampiamente collaudato, in Paesi di consolidata democrazia.
Ma, appunto, l'Italia è una democrazia 'consolidata'? In quei Paesi un esponente politico potrebbe contemporaneamente essere proprietario di gran parte dei mezzi di informazione? Potrebbe riuscire a farsi approvare leggi che gli garantiscono l'immunità per reati comuni? Troverebbe nelle altre forze politiche complicità e indulgenza fino al punto da sospendere a suo favore leggi dello Stato che lo dichiarano ineleggibile? La risposta è certamente no, a tutte queste domande.
Il presidenzialismo che qualcuno (tanti) vorrebbe per l'Italia sarebbe privo di contrappesi e garanzie indispensabili, che dovrebbero essere preventivamente predisposti per evitare che si tratti in realtà di una dittatura elettiva.
Il governo Letta-Alfano merita la nostra indignazione non perché i suoi componenti siano peggiori di altri che li hanno preceduti, ma perché è legittimo il sospetto che nasca, in esplicita contraddizione della volontà espressa dagli Italiani, proprio da un compromesso sui temi istituzionali, come arroccamento della 'casta' politica, che si è accordata per non cambiare una assurda legge elettorale proprio per non sottoporsi al giudizio degli elettori.
E perché è prevedibile che, insieme a modifiche della Costituzione che non ne intaccano i valori (il superamento del bicameralismo perfetto, per esempio), tenterà di ottenere la cancellazione o di limitare l'efficacia delle norme che garantiscono gli assetti democratici, l'indipendenza della Magistratura, l'eguaglianza di tutti di fronte alla legge.
Ecco perché sarebbe necessario che questa primavera vedesse finalmente la nascita di un nuovo soggetto politico in grado di spiegare efficacemente a tutti che dalla crisi economica e sociale non si esce mettendosi acriticamente nelle mani di un 'caudillo', ma pretendendo il rispetto dei diritti e la realizzazione di quegli strumenti di equità e solidarietà che costituiscono il programma politico della nostra Costituzione; che offrisse, alle prossime e forse non lontane consultazioni elettorali, una vera alternativa ai vecchi partiti, ma anche alla generica, becera e sterile protesta qualunquista.
Sarebbe, per tutti quelli che intendono opporsi veramente alla deriva antidemocratica superando gelosie identitarie, il modo migliore di commemorare date così importanti per un Paese civile.