Con i provvedimenti in campo economico il nostro governo continua la sagra dell’improvvisazione.
La proclamata insofferenza per qualunque regola, anche solo di buon senso, sta portando il nostro enfant prodige a inanellare una serie incredibile di sparate e conseguenti aggiustamenti e smentite, che gran parte della opinione pubblica sembra voler ignorare.
Ma in fondo a Lui interessa solo l’effetto mediatico dell’annuncio, i titoloni strillati e le folle plaudenti dei poveretti cui fa credere che godranno di generose elargizioni, che, abbagliati, si rifiutano di ascoltare le correzioni e le allarmate analisi dei tecnici.
D’altronde gli stessi ministri per caso approvano ‘sulla parola’ provvedimenti di cui non esiste il testo, privi delle necessarie coperture (che prima o poi qualcuno si inventerà), di cui sembrano ignorare le reali conseguenze.
Ora, visto il successo degli 80 euro, che nonostante le promesse sono serviti solo a rastrellare voti alle elezioni europee e sono stati ampiamente annullati da aumenti fiscali e compressione dei servizi pubblici, il mirabolante rottamatore ci ha riprovato con un ‘regalo’ alle famiglie che genereranno figli. Indifferente agli immediati riferimenti alle politiche demografiche del ventennio fascista.
E per aumentare la platea dei ‘beneficiati’ (nella speranza purtroppo non infondata che si trasformino in voti) il tetto di reddito per ottenere il contributo è stato fissato a 90.000 euro, che per la stragrande maggioranza degli Italiani costituisce un sogno irraggiungibile; naturalmente senza contare la massa degli evasori fiscali, le cui denunce dei redditi sono ben lontane da quella cifra. Così ancora una volta della ‘solidarietà’ generale godranno fasce di cittadini già privilegiate rispetto alla media.
Il tono dell’annuncio, riservato alla sede istituzionale più adatta, una TV di Berlusconi, è stato addirittura provocatorio. Peccato che ancora nessuna risposta risulti invece pervenuta a chi ha fatto notare che con la stessa cifra sarebbe stato più utile ridurre il costo degli asili nido e ampliarne la disponibilità, creando nuovi posti di lavoro e aiutando veramente le famiglie meno fortunate.
Intanto il ‘bonus bébé’, come la promessa riduzione dell’IRAP eccetera, sono rinviati al prossimo anno, pronti per la sempre più probabile campagna elettorale. Invece da subito, anzi con effetto retroattivo, aumentano le aliquote della stessa IRAP e della tassazione sui fondi pensione.
Ma l’improvvisazione nasconde (male) una linea di politica economica su cui può essere utile riflettere: l’idea che la ripresa economica dipenda solo dal volume di spesa delle famiglie. Perché chi aspetta gli 80 euro per fare acquisti si orienterà probabilmente verso prodotti di consumo di basso prezzo, che, come sappiamo, sono ormai quasi totalmente importati dall’Asia e ai quali le aziende italiane possono resistere solo con una politica suicida di compressione dei costi, per primo quello del lavoro. Così non si genera certo nuova occupazione, che è il nostro vero problema.
E non si generano nuovi posti di lavoro nemmeno riducendo gli oneri contributivi per i neo assunti, se contemporaneamente si consente assoluta libertà di licenziamento; si provoca solo una rotazione triennale: come se i contratti, invece che ‘a tutele crescenti’, fossero tutti a tempo determinato.
Intanto all’orizzonte si profila un altro disastro annunciato, di cui Renzi parla poco e, come al solito, per slogan, nonostante che il semestre della sua presidenza UE sarebbe stato una occasione fondamentale per evitarlo: il trattato USA-UE chiamato TTIP.
Delle trattative in corso per questo accordo impropriamente definito di ‘libero scambio’ non si conoscono nei dettagli i particolari, ma sono noti gli aspetti fondamentali.
Per evitare che gli USA impongano unilateralmente sui nostri prodotti vincoli e diritti doganali che ne rendono quasi impossibile l’ingresso su quel mercato, (circa 300 milioni di consumatori), a noi europei (500 milioni di cittadini/e) viene chiesto di aprire senza condizioni le nostre frontiere; in particolare di rinunciare alle normative di tutela della salute, ispirate al ‘principio di precauzione’. E di consentire che i nostri prodotti di eccellenza vengano liberamente riprodotti dalle multinazionali con marchi e denominazioni commerciali ingannevoli.
Rischiamo così di essere inondati da carne gonfiata da estrogeni e antibiotici, da prodotti infarciti di additivi e correttivi chimici, da varietà vegetali OGM invasive e irreversibili, ecc…. Mentre i nostri produttori si troverebbero a subire la concorrenza di prodotti simili di bassa qualità, ma di prezzo invincibile.
Non solo: il trattato prevederebbe la rinuncia a far valere nei confronti dei prodotti americani eventuali normative, anche a tutela della salute pubblica, che possano provocare una riduzione degli utili dei loro produttori. In questo caso lo Stato europeo che, per esempio, intendesse imporre requisiti qualitativi migliorativi o anche solo una tracciabilità più stringente, potrebbe essere chiamato in giudizio e condannato a risarcimenti milionari.
L’aver accettato una trattativa di questo tipo costituisce il punto più basso della una politica agro-alimentare della UE, che già si è distinta per la sua acquiescenza nei confronti delle lobby e delle grandi industrie. I tradizionali prodotti di alta e altissima qualità europei e italiani in particolare ne uscirebbero ancora più penalizzati, in cambio fra l’altro di impegni assai aleatori della controparte.
E con una reale abdicazione di sovranità (questa veramente inaccettabile) su uno degli aspetti più importanti della responsabilità politica: la salute dei cittadini.
Forse è anche per questo che gli USA stanno uscendo dalla crisi assai più velocemente dell’Europa.
Il semestre di presidenza italiana poteva essere una fondamentale occasione di correggere il tiro, ma Renzi ha recentemente dichiarato che il TTIP ha “l’appoggio totale e incondizionato del governo”.
Chissà se sa di cosa parla, o se, ancora una volta, fra una battuta e una slide, improvvisa a spese nostre.