La scelta del governo Gentiloni di rinunciare a parti significative delle 'riforme' renziane sul mercato del lavoro (voucher e responsabilità nei sub-appalti) pur di evitare l'effettuazione dei referendum abrogativi proposti dalla CGIL, costituisce un indubbio successo per la rimozione di norme volte a ridurre i diritti dei lavoratori, ma non può non preoccupare.
Da parte di Poletti e soci infatti non possiamo aspettarci, come sarebbe doveroso, un riconoscimento di quanto quei provvedimenti fossero sbagliati, ma solo il tentativo di riproporre in altra forma normative analoghe. Anche perché la cancellazione dei voucher anche per i casi in cui potevano rivelarsi uno strumento accettabile per regolamentare esclusivamente i 'lavoretti' sporadici di studenti, pensionati, ecc.... non può che lasciare un vuoto normativo e rilanciare i pagamenti 'al nero'.
L'annullamento dei referendum assume anche un significato sul piano istituzionale, sia perché cancella di fatto la possibilità, costituzionalmente sancita, per gli elettori e le elettrici di esercitare direttamente la loro sovranità, sia perché costituisce da parte dell'attuale maggioranza parlamentare il riconoscimento di non essere rappresentativa della volontà popolare, senza che questo porti alle dimissioni dell'esecutivo.
Su questo piano non meno grave è stata la vicenda della mancata decadenza del pregiudicato Minzolini da Senatore, che di fatto istituisce un quarto grado di giudizio (dopo la Cassazione) riservato ai soli parlamentari, in clamorosa contraddizione con l'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge sancita dalla Costituzione.
Entrambe gli episodi dimostrano che l'emergenza democratica nel nostro Paese è tutt'altro che terminata, che il problema della rappresentanza rimane centrale e prioritario, e che la mobilitazione popolare che ha consentito di respingere il tentativo di trasformare in senso (ancor più) oligarchico la nostra Repubblica continua ad essere essenziale, nonostante il tentativo corale da parte della grande stampa di ridimensionare il ruolo svolto dai comitati unitari nella campagna referendaria.
A confermarlo è anche il silenzio disceso sul tema della legge elettorale, solo parzialmente bocciata dalla Corte Costituzionale e che dovrebbe essere radicalmente cambiata per rimuovere quanto rimane, politicamente se non costituzionalmente, inaccettabile: premio di maggioranza, capilista bloccati, candidature plurime, ecc... Rimane dunque il rischio che l'attuale parlamento, illegittimo perché formato grazie a una legge incostituzionale (il porcellum), tenti di imporci di votare nuovamente con regole che trasformano la minoranza in maggioranza e consentono alle segreterie di partito di scegliere la maggioranza dei parlamentari.
Il Paese sembra invece paralizzato in attesa dell'esito della faida interna al PD, che sta assumendo contorni sinceramente grotteschi; a partire dall'attacco ai 'magistrati in politica', divenuto urgente solo da quando uno di essi minaccia la supremazia di Renzi, dopo decenni di silenzio assoluto sui Violante e le Finocchiaro.
In questo quadro esiste poi il rischio che anche le altre forze politiche, di nuova o vecchia opposizione, si occupino solo delle loro vicende congressuali e delle imminenti elezioni amministrative parziali. E, impegnate in scissioni, trattative, candidature e coalizioni a livello locale perdano di vista il quadro d'insieme, assai più importante delle singole tessere del mosaico.
E' dunque fondamentale che i cittadini e i loro comitati unitari, che sono stati i veri protagonisti della vittoria del 4 dicembre, rimangano in campo e facciano pesare la loro volontà, superando la tentazione di rivendicazioni identitarie che cancellerebbero il significato di una stagione che, a partire dai referendum del 2011 ha dimostrato l'ampiezza di un'area civile e responsabile della pubblica opinione.
La difesa della Costituzione e della democrazia parlamentare deve rimanere un impegno prioritario e irrinunciabile, al di là delle appartenenze partitiche.