L'accordo fra Berlusconi e Renzi su una proposta che, di fatto, cerca solo di aggirare la sentenza della Corte Costituzionale riproponendo le caratteristiche incostituzionali del porcellum, viene giustificato in nome della 'stabilità', scaricando su un presunto 'potere di ricatto' dei 'piccoli partiti' la responsabilità degli errori degli ultimi governi, che invece hanno solo dimostrato la loro incapacità o il loro disinteresse per i problemi concreti dei cittadini.
Abbinando questa argomentazione allo specchietto della riduzione dei 'costi della politica' con la cancellazione del Senato si cerca, non senza successo, il consenso di un elettorato che si ritiene forse incapace di intendere.
In realtà, per le stesse ammissioni dei protagonisti, il vero obiettivo è la cancellazione del crescente dissenso civile e impedire la possibile nascita di nuovi soggetti politici.
Questa ricerca di 'stabilità' sembra però nascondere lo stravolgimento in senso autoritario e presidenziale della Repubblica, che una larga maggioranza di Italiani respinse col referendum del 2006. Allora la parte politica recentemente conquistata da Renzi si schierò contro la 'riforma' e, anche se senza eccessivo entusiasmo, per la difesa della nostra Costituzione.
Ma, Come efficacemente sentenziato dalla Consulta, la 'stabilità' può essere solo un legittimo obiettivo politico, mentre la correttezza della 'rappresentanza' è un obbligo ineludibile.
Vediamo dunque cosa succederebbe se la nuova legge elettorale venisse approvata. Intanto il nostro Paese non potrebbe più definirsi una democrazia, perché potrebbe essere governato a colpi di decreti da una ridotta minoranza e, soprattutto, i cittadini perderebbero il diritto di eleggere un Parlamento che li rappresenti.
Per fare un esempio: sulla base dei risultati del febbraio 2013, la coalizione di 'centrosinistra', che si è fermata al 29,5% dei consensi, andrebbe al ballottaggio con quella di destra (29,1%); se vincesse otterrebbe il premio di maggioranza, che però andrebbe solo al PD perché nessuno dei suoi alleati ha superato la 'soglia' del 4,5%. Il PD pertanto, con un consenso iniziale del 25,40% dei votanti (corrispondente al 18,34% dell'elettorato) otterrebbe il 53/55% dei seggi. Tutte le altre liste (solo tre o quattro, in realtà) si spartirebbero il rimanente 45/47%. Naturalmente il risultato sarebbe ancora peggiore se vincesse Berlusconi.
Il Parlamento avrebbe così una maggioranza 'blindata' composta da parlamentari nominati e non eletti, il cui leader non potrebbe che essere designato dal Presidente della Repubblica a guidare il governo, realizzando così di fatto quella elezione diretta che venne bocciata nel 2006 e che cancella i poteri che l'art. 92 assegna al Capo dello Stato. E tutto con il consenso iniziale di meno di due cittadini su dieci.
Se a questo esplicito tradimento della volontà popolare sommiamo l'impossibilità per gli elettori di scegliere il candidato da votare a causa delle liste bloccate, l'assegnazione dei seggi su base nazionale e la cancellazione del Senato (cosa diversa dal superamento del bicameralismo perfetto), otteniamo un accentramento brutale e quasi casuale del potere nelle mani di un gruppetto di persone (o addirittura di una sola), che hanno determinato le liste dei candidati.
Con una composizione determinata 'dall'alto', il Parlamento non potrebbe non perdere la sua centralità e la sua funzione legislativa, limitandosi a ratificare le scelte dell'esecutivo, che governerebbe mediante decreti privi dei requisiti costituzionali di necessità e urgenza e, al limite, a colpi di voti 'di fiducia'. Malcostume d'altronde già colpevolmente tollerato.
Inoltre la forzatura bipartitica impedirebbe un confronto sereno e trasparente con la vastissima area del dissenso civile che rimarrebbe fuori dalle Camere per non aver raggiunto le soglie minime o per la crescita della scelta astensionistica che potrebbe derivare da un meccanismo elettorale quasi incomprensibile.
A questo Parlamento 'cristallizzato' e, eventualmente, monocamerale, spetterebbe anche di nominare una quota rilevante di importanti organismi di controllo e garanzia: Corte Costituzionale e Consiglio Superiore della Magistratura, che vedrebbero così molto ridotta la loro indipendenza dalla maggioranza del momento. Verrebbero così a cadere gli ultimi strumenti a disposizione dei cittadini per far valere i diritti loro riconosciuti dalla Carta costituzionale e difesi negli ultimi decenni proprio dalla Consulta e dalla indipendenza della Magistratura.
E' inoltre appena il caso di ricordare che questa maggioranza, frutto di fantasiose ingegnerie e lontana dalla legittimazione popolare, potrebbe in qualunque momento varare riforme, anche costituzionali, che potrebbero essere bloccate solo con il ricorso alle complesse e costose procedure referendarie previste all'articolo 138.
E' infine opportuno sottolineare che non fanno parte del programma 'riformatore' della attuale maggioranza e di Forza Italia (che formalmente si colloca alla opposizione, ma grazie a Renzi appare determinante) né norme efficaci per impedire la candidabilità degli inquisiti e dei condannati, né la cancellazione del vantaggio determinante rappresentato per una delle forze in campo dalla disponibilità della gran parte dei mezzi di informazione. La mancata risoluzione del conflitto di interessi berlusconiano, che non sarebbe stato tollerato in nessun Paese democratico, ha in realtà condizionato i risultati elettorali degli ultimi due decenni, privando gli Italiani del diritto a una informazione pluralista e libera, e rischia ora di essere nuovamente determinante.
E' dunque indispensabile che la legge Berlusconi-Renzi venga respinta, così come è stata ritirata la 'deroga' all'art. 138 quando la 'furbata' di Letta, autorevolmente sostenuta, è stata smascherata.
In questa situazione è agghiacciante ascoltare cittadini che proclamano il loro disinteresse per quanto sta accadendo. Ma di fronte al qualunquismo dilagante e alla crisi di credibilità del sistema democratico forse qualcuno può proclamare 'Missione compiuta!”.