Ma chi c'è al governo?

di Francesco Baicchi - 19/02/2014
Il futuro esecutivo sembra nascere già ipotecato dalla presenza ingombrante di un 'convitato di pietra', che, pur non facendo parte della coalizione, riuscirebbe a fargli realizzare i suoi obiettivi di trasformazione della nostra Repubblica in senso autoritario e presidenziale.

Fra i tanti slogan che il marketing politico ci ripete ossessivamente c'è quello relativo alla nostra (di noi cittadini) presunta esigenza di sapere subito dopo il voto chi governerà per l'intera legislatura.

A questo 'bisogno' irresistibile c'è chi propone addirittura di sacrificare il diritto costituzionale di essere, tutti o quasi, rappresentati in Parlamento da donne e uomini per i quali abbiamo espresso la nostra fiducia col voto.

Si giustifica così una proposta di legge elettorale, frutto dell'accordo fra Berlusconi e Renzi, che punta a garantire a una sola forza politica la maggioranza parlamentare indipendentemente dall'entità dei consensi ottenuti, sul modello della legge Acerbo voluta da Mussolini nel 1923. Si ridurrebbero così a mera formalità le prerogative che l'articolo 92 della Costituzione attribuisce al Presidente della Repubblica, e il potere del Parlamento di concedere o meno la 'fiducia'.

Sui pericoli e l'assurdità di questa ipotesi si sono già espressi troppi giuristi perché valga la pena di ulteriori commenti, anche se la ragionevolezza e il dettato costituzionale non saranno forse sufficienti ad impedirne l'approvazione da parte di un Parlamento ampiamente delegittimato e disposto a tutto pur di rimanere in carica per qualche mese in più.

A chi sostiene questa esigenza di certezze sarebbe però logico chiedere intanto di farci sapere almeno chi in realtà governerà il Paese fra qualche giorno, e con quale mandato.

Perché Renzi, designato dal suo partito su richiesta dello stesso Capo dello Stato, rischia di formare un governo dai contorni assai incerti, con il sostegno formale di una coalizione non solo trasversale perché erede delle 'larghe intese' volute da Napolitano e Letta, ma già profondamente divisa su uno dei pilastri del suo programma, la legge elettorale, e senza chiarezza su molti altri punti.

Sulla legge elettorale infatti i dissensi con Alfano non sono certo trascurabili: in particolare la reintroduzione delle preferenze, e l'entità delle soglie di accesso.

Su questa parte del suo programma (l'unica per ora definita) Renzi può però contare sull'accordo 'esterno' con Forza Italia, che vedrebbe così realizzati alcuni dei suoi storici obiettivi e verrebbe di fatto a detenere un sensibile potere di condizionamento del nuovo esecutivo.

Con questa riedizione delle 'geometrie variabili' Renzi si assicura la sopravvivenza del suo governo, ma per realizzare quale programma e fino a quando?

L'assenza di un vero progetto politico, ancora tutto da definire, e il silenzio su molti argomenti fondamentali per l'immediato futuro sembra confermare che la vera, se non unica, priorità del nuovo governo, anche in senso temporale, è lo smantellamento della Costituzione, partendo proprio dall'attacco alla centralità del Parlamento e dal superamento di fatto della separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giurisdizionale.

Sui veri problemi del Paese il Presidente incaricato ha solo abbozzato alcune proposte, alcune ragionevoli, ma che appaiono tuttt'altro che confermate, perché anch'esse difficilmente condivisibili da parte dei suoi alleati 'ufficiali' (tutti di centro-destra); come ad esempio la revisione del sistema fiscale per recuperare quella progressività che proprio i governi Berlusconi/Alfano hanno cancellato, la tassazione delle rendite finanziarie, ecc ....

Insomma, al di là dei proclami, non è ancora chiaro quali nuove strategie politiche giustifichino il repentino licenziamento di Enrico Letta (colpevole però di aver accennato finalmente alla necessità di una legge sul conflitto di interessi); e le difficoltà che incontra il Presidente incaricato a comporre la sua squadra e a definirne i contorni ne sono la conferma.

L'unica cosa certa per ora è che il governo Renzi non costituirà certo una svolta verso il centro-sinistra.

Insomma il futuro esecutivo sembra nascere già ipotecato dalla presenza ingombrante di un 'convitato di pietra', che, pur non facendo parte della coalizione, riuscirebbe a fargli realizzare i suoi obiettivi di trasformazione della nostra Repubblica in senso autoritario e presidenziale.

Non rimane che chiedersi se il PD accetterà compatto questo ruolo di paravento di interessi altrui, dimenticando definitivamente le sue origini, e in che forma si esprimerà l'ampia area del dissenso che con la nuova legge elettorale non riuscirebbe a ottenere rappresentanza parlamentare o addirittura rinuncerebbe al voto.

Una situazione non propriamente coerente con l'obiettivo di un governo che si vorrebbe di legislatura, ma nasce minato dall'esser conseguenza della scelta del Presidente della Repubblica di preferire le intese trasversali al ritorno alle urne, guidato da un partito lontano dal rappresentare la maggioranza dell'elettorato e tutt'altro che compatto; condizionato dall'esterno da una forza politica che formalmente non ne fa parte; che ottiene la fiducia da un Parlamento che però non è stato eletto dal popolo, ma designato grazie a una legge incostituzionale.

Un governo che appare fin da ora inadeguato ad affrontare i problemi reali del Paese e certo non legittimato a realizzare modifiche costituzionali che rischiano di stravolgere il nostro sistema istituzionale e di ridurne la natura democratica, e che ne sono invece forse la sola motivazione.

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