Per il 4 marzo

di Francesco Baicchi - 28/02/2018

Con l’avvicinarsi del 4 marzo questa campagna elettorale è sempre più sgradevole, forse per la sensazione che si ricava da certe dichiarazioni ‘programmatiche’ di essere considerati, come elettori, scarsamente intelligenti: promesse mirabolanti, cifre sparate più o meno a caso, giuramenti di fedeltà (alle coalizioni) clamorosamente smentiti pochi minuti dopo.

A questo possiamo aggiungere la conclusione di tante vertenze contrattuali (statali, scuola, ecc…) miracolosamente arrivata proprio a pochi giorni dal voto, insieme alle  previsioni di una sicura ‘uscita dalla crisi’ di cui, almeno io, non ho colto i sintomi.

Se non incombesse la minaccia della entrata in vigore (il prossimo luglio, pare) della pericolosissima ‘riforma’ del ministro Orlando, che con i nuovi vincoli sulle intercettazioni cerca di cancellare definitivamente il più efficace strumento di lotta alle mafie e alla corruzione, verrebbe da pensare (sbagliando) che il governo Gentiloni non sia poi così male.

 

Ma la sensazione più sgradevole è suscitata dal tentativo di capire a quale perversa logica rispondano i meccanismi assurdi della legge elettorale imposta nei mesi scorsi a colpi di fiducia (otto) a un parlamento imbelle popolato da mercenari e voltagabbana.

Tentativo che non può che portare alla conclusione che il ‘rosatellum’ ha per unico obiettivo privare le elettrici e gli elettori del potere di scegliere i propri rappresentanti e costruire un Parlamento non rappresentativo della volontà popolare, sordo (perché nominato dai capi-partito) ai bisogni delle persone.

Non si spiega altrimenti l’idea di eleggere, con un unico voto, un terzo di ogni camera con un sistema maggioritario a turno unico (che, in una realtà multipolare come quella italiana, garantisce sempre il successo al rappresentante di una minoranza) e i rimanenti due terzi con un sistema proporzionale che impedisce all’elettore non solo di scegliere liberamente, ma perfino di prevedere con certezza a chi andrà di fatto il suo voto.

Tutti ottimi motivi per cedere alla tentazione, disastrosa, di non votare, rinunciando a quella sovranità garantita dal primo articolo della nostra Costituzione, su cui si fonda tutto il nostro sistema democratico parlamentare nato dalla vittoria sul fascismo.

 

Proprio perché il voto è, oltre che un diritto, un dovere di chi vuol essere a pieno titolo un/una cittadino/a e non un suddito, occorre dunque affidare la propria scelta, più che ai fantasiosi ‘programmi’, alla valutazione dei candidati; della loro storia (soprattutto della loro coerenza), delle loro competenze, della trasparenza e correttezza dimostrata in precedenza fuori e dentro il mondo della politica, insomma della loro credibilità.

Valutazione che non può a mio avviso prescindere dalla fedeltà (espressa e praticata) ai principi costituzionali di equità, solidarietà e giustizia, ai quali non si sono certamente attenuti quanti hanno votato questa legge elettorale, la cui immediata cancellazione dovrebbe essere (quella sì) in tutti i programmi.
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