Per valutare pienamente la portata di quanto sta accadendo nel nostro Paese è necessario andare al di là delle conseguenze giuridiche dei singoli provvedimenti che un governo che si regge su una maggioranza parlamentare frutto di una legge elettorale dichiarata incostituzionale sta imponendo in aperta violazione dei regolamenti parlamentari e della stessa Costituzione.
L’insieme delle modifiche istituzionali, che pure stanno trasformando l’Italia da repubblica parlamentare a una specie di dittatura elettiva, unite agli interventi in campo economico e sociale, stanno demolendo le conquiste di civiltà e solidarietà del secondo dopoguerra, per il ritorno a un modello sociale gerarchico e autoritario.
Con la giustificazione di una pretesa esigenza di ‘velocità’ e certezza decisionale si arriva a cancellare ogni forma di confronto con chi dissente, e a negare i principi stessi della democrazia: il diritto alla rappresentanza e la partecipazione come dovere civico, disegnando un potere assoluto, privo di controlli e garanzie, da conquistare a qualunque costo e con qualunque mezzo.
La nuova legge elettorale, assegnando una maggioranza inattaccabile al partito che ottiene un voto più degli altri, anche se di minoranza e indipendentemente dall’entità del consenso e dal numero dei votanti, consegna indissolubilmente al capo dell’esecutivo il controllo del parlamento e crea un sistema iper-presidenziale che non ha uguali in nessun paese evoluto, con l’inevitabile corollario del consolidamento di una ‘casta’ clientelare di politici professionisti, interessati esclusivamente al mantenimento dei propri privilegi e sempre più indifferenti alla reale volontà degli elettori.
In questo senso non possono che essere lette le scandalose resistenze alla approvazione di norme contro la corruzione, per l’ineleggibilità di imputati e pregiudicati, per una vera riforma della prescrizione, che attualmente garantisce l’impunità ai potenti.
Se uniamo le tessere del mosaico, dalle norme che privilegiano speculatori e grandi imprese agli attacchi alla autonomia della Magistratura, dalla ‘riforma’ del mercato del lavoro a quella della scuola (entrambe caratterizzate dall’esasperazione della precarietà e dalla negazione di criteri oggettivi di merito), dalla legge elettorale alle modifiche costituzionali, emerge il quadro di una società oligarchica, impegnata a difendere poteri opachi e accentrati, derivanti essenzialmente da rapporti collusivi, di mutua convenienza e privi di qualunque riferimento etico.
In questi giorni è stato più volte utilizzato il termine ‘predatorio’, innegabilmente efficace nel descrivere l’idea di una società basata sul ‘mercato’ cioè sul conflitto fra interessi privati, che rifiuta o cerca di limitare a massimo le regole e l’arbitrato indipendente.
Un modello esattamente opposto a quello, egualitario e solidale, definito dalla nostra Costituzione del 1948, ma anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, dalla Carta dei Diritti Fondamentali della UE, o Carta di Nizza.
Non è un caso se il programma di ‘riforme’ portato avanti dall’attuale variegata e variabile maggioranza di centro-destra (grazie anche agli innumerevoli errori delle altre forze politiche) incontra l’approvazione degli stessi ambienti finanziari internazionali che sono all’origine sia della crisi internazionale che dagli USA ha coinvolto l’intero pianeta, che della incapacità europea di difendersene, impegnati nella coservazione di un sistema economico-finanziario che ha mostrato inequivocabilmente i propri limiti e errori.
E non è un caso se vecchi modelli autoritari sono riemersi e ottengono consenso proprio da quando le aree più avanzate e responsabili delle nostre società denunciano l’inadeguatezza della politica tradizionale ad affrontare le nuove sfide di oggi: la penuria di risorse energetiche e delle materie prime in generale (acqua e territorio compresi), la crescita delle disuguaglianze e le conseguenti migrazioni di massa, l’accelerato deterioramento dell’ambiente dovuto al suo dissennato sfruttamento, le conseguenze della ‘globalizzazione’ dei movimenti finanziari e dei mercati, i nuovi problemi etici derivanti dal progresso tecnico-scientifico.
Affrontare questi temi con la sola logica del profitto o del ‘mercato’, come si preferisce ipocritamente dire, comporta una ulteriore concentrazione della ricchezza , che si autoriproduce, e del potere, e un ampliamento dell’area della precarietà, del disagio e della povertà, che non costituiscono prospettive accettabili sul lungo periodo, esaltando l’individualismo e la competitività personale senza limiti etici.
L’esasperazione del modello maggioritario, fino ad assegnare una maggioranza ‘blindata’ del parlamento alla maggiore minoranza (che può essere anche assai lontana dal 50% dei votanti), più che a una maggiore efficacia decisionale, punta ad escludere il confronto delle idee fino all’imposizione di un ‘pensiero unico’, dogmatico e indiscutibile, mentre la riduzione dei livelli di partecipazione (abolizione del suffragio universale per province e Senato, delegittimazione di sindacati e associazionismo) cerca di allontanare il coinvolgimento dei cittadini dai processi di elaborazione delle politiche.
In questa prospettiva trovano coerenza le priorità dell’attuale governo, che invece di puntare, mediante strumenti redistributivi della ricchezza e l’efficienza dei servizi pubblici, alla realizzazione di quella eguaglianza che l’articolo 3 della Costituzione individua come compito irrinunciabile della Repubblica, ripropongono modelli oligarchici del secolo scorso e incentivano l’astensionismo e l’indifferenza.
Non è certo la prima volta (e purtroppo forse non sarà l’ultima) che il progresso e la civiltà subiscono battute d’arresto o addirittura temporanee inversioni di marcia, ma proprio per questo è indispensabile denunciare, a fronte di una serie di provvedimenti che vengono presentati come innovativi e semplificatori, la loro reale motivazione e le complessive conseguenze sul lungo periodo, sollecitando una maggiore trasparenza e oggettività della informazione.
La stessa crescita del numero degli economisti che denunciano gli errori e le conseguenze nefaste della scelta del ‘mercato’ come unico riferimento politico conferma, se ce ne fosse bisogno, la necessità di salvaguardare spazi di libertà, di solidarietà e di pluralismo essenziali, difendendo i valori su cui la Costituzione del 1948 volle fondata la nostra Repubblica, non per conservatorismo, ma proprio per la loro attualità e preveggenza e sollecitando un profondo rinnovamento di una classe dirigente inaffidabile e eticamente impresentabile, di cui l’attuale maggioranza parlamentare è espressione coerente.
Opporsi a questa deriva autoritaria è un dovere che va al di là degli schieramenti e delle fazioni, e deve vedere impegnati tutti i cittadini che intendono rimanere arbitri del proprio futuro.