Anche se non fa formalmente parte del testo della Carta costituzionale, è innegabile che la legge elettorale non è una norma ordinaria, perché costituisce lo strumento con cui si realizza quel secondo comma del primo articolo della Costituzione ('La sovranità appartiene al popolo...'), che fa della nostra Repubblica una democrazia.
Sarebbe dunque opportuno, anche se giuridicamente non necessario, che essa fosse condivisa, o almeno accettata, dal maggior numero possibile di cittadini.
Certo questa può apparire una affermazione superata, dopo decenni di tentativi di leggi 'ad personam', violazioni sistematiche e trasversali dei principi costituzionali e tentativi di stravolgere addirittura il testo stesso della Costituzione, ma, come si usa dire, sulle regole del gioco tutti devono essere d'accordo.
La sentenza della Corte Costituzionale che sancisce l'illegittimità del porcellum e sollecita indirettamente una nuova legge elettorale ci offre però non solo la possibilità di un ritorno alla legalità, ma, anche e soprattutto, della ripresa di un confronto non condizionato dagli interessi di bottega di un ceto politico sempre più autoreferenziale e lontano dagli interessi, etici e materiali, degli elettori. Tenendo conto che è facile prevedere che le motivazioni della sentenza confermeranno la legittimità formale dell'attuale Parlamento, al quale verrà però di fatto assegnata indirettamente una data di scadenza vicina a quella delle mozzarelle.
Siamo dunque in una situazione di emergenza, anche se appare solo provocatoria la richiesta di scioglimento immediato delle Camere, o addirittura di riattribuire i seggi utilizzando i voti espressi a febbraio con le regole che rimangono in vigore dopo la cancellazione del premio di maggioranza.
La 'politica' ha già troppo a lungo abdicato al potere/dovere di cancellare una norma che la suprema Magistratura da tempo ha dichiarato incostituzionale, anche se ha evitato in tutti i modi di esprimersi formalmente. Quindi è risibile l'accusa di una 'invasione di campo' da parte dei Giudici, che semplicemente non si sono più sottratti al dovere di una supplenza che non hanno certo cercato.
Ora è necessario evitare che l'argomento venga nuovamente banalizzato assegnando ai 'tecnici' l'onere della scelta, o almeno dell'argomentazione in favore di questo o quel sistema elettorale.
La legge con cui i cittadini scelgono (o dovrebbero poter scegliere) i loro rappresentanti è argomento politico, forse il più politico di tutti, dopo l'individuazione dei Principi fondamentali su cui si fonda la convivenza sociale (che per il nostro Paese i Padri Costituenti hanno a suo tempo risolto con intelligenza e lungimiranza).
Ben vengano dunque i contributi tecnici, che però non possono sostituire la riflessione preventiva sulla funzione che al sistema elettorale si intende attribuire, e che costituisce la vera discriminante fra le varie soluzioni possibili.
Una sopravvalutazione della stabilità come valore assoluto porterebbe inevitabilmente a orientarsi verso sistemi che impongono il bipolarismo e contemporaneamente esaltano il leaderismo, concentrando e garantendo il potere in forme sostanzialmente oligarchiche, ed è di fatto alternativa a quella democrazia partecipativa che punta invece al massimo coinvolgimento dei cittadini e delle cittadine nelle scelte politiche.
Se non è certo possibile ignorare le conseguenze negative dell'eccesso di instabilità dovuto al potere di ricatto di singoli gruppi o cordate, il rimedio, più che nei tecnicismi elettorali, deve essere ricercato in una maggiore responsabilizzazione degli elettori, che passa da una loro corretta informazione e porta a una migliore qualità sul piano dell'etica e della competenza del ceto dirigente.
Sul piano istituzionale l'alternativa si gioca fra il riconoscimento della centralità del Parlamento come sede della rappresentanza e del potere legislativo, separato da quello esecutivo, e la sua subordinazione a governi di fatto sottratti al suo controllo, come vorrebbero i sostenitori dell'urgenza di 'riforme' costituzionali.
Col porcellum abbiamo già in parte sperimentato cosa accade con l'elezione diretta di un 'capo' che trascina con sé una maggioranza parlamentare destinata a approvare passivamente le sue decisioni. Ma forse chi parla del 'sindaco d'Italia' ha proprio come obiettivo questo accentramento del potere decisionale, nascosto dietro il termine 'stabilità'.
Proprio perché la gravità degli effetti delle sfide contemporanee (dalla crisi finanziaria internazionale all'esaurimento delle materie prime e delle fonti energetiche, dai rischi per l'ambiente alle migrazioni di massa) non può essere affrontata con criteri e categorie del passato e impone inevitabilmente scelte difficili e impopolari, è indispensabile invece un sempre maggiore coinvolgimento dei cittadini/e nel processo decisionale. A partire naturalmente da una corretta rappresentazione delle loro opinioni in sede parlamentare.
Rimediare alle plateali illegalità della legge attuale non sarebbe dunque sufficiente se la scelta dovesse cadere su sistemi che non garantiscono la proporzionalità della rappresentanza, la facoltà di scegliere i futuri parlamentari in un rapporto di identificazione personale, l'esercizio del potere legislativo da parte di una assemblea dialogante e non sottoposta alla 'dittatura della maggioranza'.
Questo Parlamento ha un solo modo di riscattare la propria illegittimità: approvare rapidamente una legge elettorale che rinunci a ingegnerie e meccanismi che puntano a condizionare o deformare la libera espressione della volontà dei cittadini, garantendo invece l'esercizio della sovranità che la Costituzione assegna al popolo.
Insomma ancora una volta non possiamo che confermare la lungimiranza e la profonda saggezza delle istituzioni repubblicane, nate dalla tragedia della dittatura e della guerra, che in questi anni ci hanno difeso da nuove derive autoritarie e populiste. E che questo Parlamento non è soprattutto legittimato a modificare.