Questa volta forse ha ragione l’Europa.
Come sappiamo, anche perché ce lo hanno giustamente ripetuto fino alla nausea, il bilancio del nostro Paese ha necessità di essere tenuto sotto controllo perché abbiamo un enorme debito pubblico, i cui interessi passivi gravano in modo insostenibile ogni anno sulle nostre uscite.
Conosciamo anche l’origine di gran parte di questo debito, anche se questo tentano continuamente di tenercelo nascosto: una enorme evasione fiscale che continua di fatto a essere tollerata, la corruzione dilagante di politici e pubblici funzionari loro amici e colleghi di partito (anch’essa mai seriamente combattuta, Roma docet), le conseguenze di una ‘finanza creativa’ che negli scorsi decenni ha mascherato il deficit con trucchi contabili di vario genere.
Anche se cercano di farci credere che il passivo è dovuto a politiche sociali troppo ‘buoniste’, come proclama J.P.Morgan.
Di fronte alla crisi finanziaria mondiale iniziata anni fa (per colpa fra l’altro anche di J.P.Morgan) il nostro Paese si è trovato in una condizione di particolare debolezza per due ragioni: l’assenza (da sempre) di una seria politica economica e occupazionale e, appunto, l’impossibilità di impegnare sufficienti risorse in una
campagna di investimenti pubblici e sviluppo, come invece ha fatto, per esempio, Obama.
L’Italia, nonostante le sue tante eccellenze, non ha mai investito a sufficienza e in modo efficiente nella ricerca e nello sviluppo tecnologico. Quindi il nostro sistema produttivo è rimasto in grandissima parte caratterizzato da micro-imprese di sub-fornitura, le più esposte alla concorrenza di prezzo dei Paesi a basso costo della manodopera. L’Italia ha dimostrato anche di non sapere ancora nemmeno sfruttare in modo efficace le enormi potenzialità del suo patrimonio storico e culturale.
La crisi avrebbe dunque richiesto almeno politiche di sostegno alla ricerca e di riconversione tecnologica, una seria lotta all’evasione, alla corruzione e agli sprechi; insomma un salto di qualità della nostra classe dirigente, ulteriormente disastrata da un ventennio gestito dall’ometto di Arcore e dai suoi avvocati-parlamentari, impegnati più che altro a evitare il carcere e combattere la Magistratura.
Purtroppo questo salto non c’è stato, e le cronache di questi giorni ci confermano che le collusioni e i legami oscuri e trasversali fra mondo economico-finanziario e politico sono rimasti immutati e funzionano ancora egregiamente sotto il regime del giovanotto (presunto) rottamatore che guida l’attuale governo.
Fra le costanti c’è anche il perenne tentativo di attribuire ad altri, e in particolare alla ‘Europa’, la responsabilità di errori e scelte sbagliate che invece sono solo ‘nazionali’. Infatti l’Europa, per fare ancora un esempio, ci chiede di ridurre il debito e tenere il bilancio in pareggio; ma la scelta politica fra cancellare l’acquisto degli inutili e inefficienti F35 o ridurre i servizi per i meno fortunati o il finanziamento alla scuola pubblica è invece dei nostri governi.
Non c’è dubbio che siano inaccettabili le scelte depressive degli organismi europei e mondiali, tendenti essenzialmente a privilegiare i grandi finanzieri e le loro speculazioni rispetto al 99% della popolazione mondiale, gran parte della quale sotto il livello della sopravvivenza, ma questo non può divenire un paravento dietro il quale nascondere i nostri problemi nazionali.
In questi giorni il capo del nostro governo (in perenne campagna elettorale dalla sua maggiore età), forse perché si è reso conto della scarsa credibilità dei quotidiani annunci sui successi delle sue ‘riforme’, che perfino Squinzi ha negato, ha rilanciato la promessa berlusconiana della cancellazione delle imposte sulla prima casa per tutti.
L’obiettivo, più che trasparente, è ripetere il trucco riuscito con lo sconto fiscale degli 80 euro, ampiamente ripagato dai contribuenti con l’aumento del costo dei servizi, ma che gli ha fatto vincere le elezioni europee (anche se condizionate da una scarsissima partecipazione).
L’idea è di finanziare il nuovo ‘regalo’, graziosamente elargito, utilizzando margini di elasticità sul deficit da contrattare con i controllori europei, che si sono affrettati a dichiarare la loro perplessità, se non la piena contrarietà.
In effetti il nostro Paese continua ad avere bisogno prioritariamente di investimenti e razionalizzazione; magari anche di un rilancio della domanda interna, che però richiederebbe un miglioramento del reddito delle famiglie più in difficoltà. Una riduzione del carico fiscale delle fasce inferiori di reddito, mediante la riduzione della tassazione sulla prime case non di lusso, andrebbe in questa direzione (anche se non toccherebbe l’area della vera e propria povertà, che la casa non c’è l’ha). Ma a cosa dovrebbe servire un ulteriore regalo a chi è già ricco, a parte contribuire al rilancio di un decotto Berlusconi? Perché ridurre il prelievo sui possessori di abitazioni di lusso milionarie, che certo non ne hanno bisogno per decidere qualche acquisto in più?
Quindi gli organismi europei, che certo poco fanno per rimanere simpatici (a partire dal modo con cui sinora ha affrontato il problema dei migranti), su questo punto forse hanno ragione e dovremmo ringraziarli per cercare di spingere il nostro governo verso scelte di investimento più ragionevoli e meno spudoratamente propagandistiche.