La decisione di Berlusconi di far dimettere i ministri della sua ‘ditta’, come disperato tentativo, di spingere il PD e Napolitano a cancellare lo stato di diritto e garantirgli una immunità totale, dovrebbe rendere definitivamente improponibile l'idea di concordare con lui le modifiche da apportare alla Costituzione. Sarebbe come cercare l'accordo della Mafia per la riforma del Codice Penale (anche se in fondo questo non costituirebbe una novità per questo Paese).
Al pregiudicato Berlusconi, affondato come Al Capone per un reato minore anche se grave e ormai prigioniero del suo delirante egocentrismo, poco importa delle conseguenze del suo gesto per il Paese. Grazie alla intatta posizione di quasi monopolista della informazione, che gli consente di ripetere ossessivamente menzogne e attacchi diffamatori alla Magistratura e agli avversari, è sicuro che troverà comunque un certo numero di italiani disposti ancora una volta a votarlo.
L'assurdo ricatto sull'IMU prima e la attuale attentato alla nostra credibilità internazionale dimostrano su quali basi sia nata la maggioranza 'di servizio' e rendono più difficile negare che l'unico vero collante che la teneva insieme fosse proprio la modifica della Costituzione, con l'attenuazione della sua funzione di vincolo contro la 'dittatura delle maggioranze' e la riproposizione di quella centralizzazione del potere nelle mani di una sola figura carismatica, che venne sonoramente bocciata dal referendum costituzionale del 2006.
Anche se non imprevedibile (ma evidentemente sottostimata), la condanna di Berlusconi, con le sue inevitabili conseguenze, ora ha modificato il quadro, imponendo a tutti una esplicita scelta di campo e rendendo molto più complesso il ruolo di mediazione che il Presidente della Repubblica, con una personale interpretazione delle sue funzioni, si era scelto.
Certo sentiamo ancora evocare la minaccia della amnistia e dell’indulto, che sommati finirebbero comunque per ottenere l’esito di annullare il paziente lavoro della Magistratura (’unico ‘potere’ dello Stato che ha mantenuto fede al ruolo che la Costituzione gli ha assegnato), ma, nonostante tutto, appare difficile che il Capo dello Stato accetti di prestarsi a una tale scandalosa distorsione della legalità.
E’ dunque arrivato il momento, anche per chi in questo Governo ci aveva creduto, di un ripensamento del percorso degli ultimi mesi, per accantonare (almeno per il momento) il tentativo di piegare le nostre istituzioni alle esigenze personali di qualcuno e restituire al superamento del ‘porcellum’ la priorità assoluta, per rifiutare i ricatti di un facile e colpevole populismo e affrontare la crisi socio-economica guidati proprio dai principi di solidarietà e equità su cui la Costituzione si fonda.
La proposta di un esecutivo a termine con l’obiettivo di approvare rapidamente la nuova legge elettorale e i provvedimenti urgenti di economia e finanza potrebbero andare in questo senso.
Dovremmo però aggiungere a questa indispensabile agenda la necessità di neutralizzare il conflitto di interessi che assegna a Berlusconi un inaccettabile vantaggio, in grado di condizionare pesantemente gli esiti elettorali.
E’ sufficiente in questi giorni seguire in televisione uno qualunque dei programmi ‘di approfondimento’ sulla situazione politica per rimanere colpiti dalla enormità delle menzogne che i seguaci del leader pregiudicato ripetono ossessivamente (e spesso con le stesse parole, come le fossero il frutto di una lezioncina). Menzogne che transitano non solo sulle sue reti, ma, grazie ai giornalisti alle sue dipendenze, opportunamente invitati, anche su quelle pubbliche. Menzogne spesso colpevolmente tollerate, anche quando costituiscono vera e propria diffamazione, come spesso accade quando si parla di Magistrati e Giustizia. Perfino la stessa Costituzione viene spesso travisata per giustificare pretese di immunità.
Senza una concreta regolamentazione della ‘par condicio’ e una diversa legge elettorale anche un nuovo ricorso alle urne rischia di essere inefficace, e di riprodurre una situazione di stallo forse ancora peggiore, specialmente se persiste l’atteggiamento anti-istituzionale del M5S.
Sperare ancora che la soluzione stia nei giochi di potere, nelle migrazioni di pochi parlamentari da un fronte all’altro si è già dimostrato illusorio: così si può bloccare la politica, non riformarla. Anche i distinguo che sembrano emergere nello stesso PdL sembrano più abili tentativi di tenere aperta la porta a possibili inversioni di percorso, se non di alzare il prezzo del proprio riallineamento, che veri e propri dissensi.
Proprio in quella Costituzione che alcuni gruppi di potere insistono a voler superare (seguendo i ‘consigli’ della ormai notissima relazione di J.P. Morgan) si trovano i riferimenti etici e giuridici che ci possono consentire di uscire da una situazione che sfiora ormai la tragedia.
E’ ormai nettamente questo il confine che divide i due campi, come una gran parte della opinione pubblica più responsabile ha capito. E’ su un progetto di ritorno alla legalità e di rilancio della realizzazione del dettato costituzionale, da tempo trasversalmente tradito, che si può fondare la ricostruzione della credibilità della classe dirigente. E’ questa la ‘pacificazione’ di cui abbiamo bisogno, non l’equidistanza fra Giustizia e illegalità.
E’ questo il progetto che dobbiamo unitariamente rivendicare scendendo in piazza il 12 ottobre, rifiutando le argomentazioni strumentalmente polemiche che stanno emergendo da quanti insistono a far prevalere interessi identitari e ‘di bottega’ a quelli del nostro Paese.