Uguali di fronte alla legge

di Francesco Baicchi - 03/03/2017

Nella sua recente auto-difesa il candidato della ‘destra repubblicana’ alla presidenza della Repubblica François Fillon, in grave difficoltà per l’inchiesta aperta a suo carico, ha riesumato lo stesso argomento usato anni fa da Berlusconi: la Giustizia dovrebbe fermarsi quando una inchiesta rischia di condizionare l’esito di una consultazione elettorale.

Anche la candidata della destra para-fascista Marie LePen sembra sostenere la stessa tesi, rifiutando di farsi interrogare dai magistrati prima delle prossime elezioni presidenziali.

Da qui a affermare, come fece Forza Italia, che il voto popolare dovrebbe anche garantire una sostanziale impunità il passo è breve quanto pericoloso.

La ripresa senza vergogna di questi argomenti non dovrebbe lasciarci indifferenti, vista l’aria che tira nel nostro Paese intorno alla famiglia Renzi e al cosiddetto ‘giglio magico’.

Allora forse è il caso di ribadire subito che l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 Cost.) è un principio assolutamente ineludibile, e che l’azione penale è obbligatoria (art 112).

Ma, al di là del (doveroso) rispetto delle norme costituzionali, che esiste un oggettivo interesse (o forse un diritto?) delle elettrici e degli elettori a conoscere in modo approfondito la storia e i comportamenti di chi si candida a cariche pubbliche, e non solo attraverso le sue dichiarazioni propagandistiche.

Anche perché esistono azioni o omissioni che, anche se non penalmente perseguibili, consentono di valutare meglio la personalità e quindi l’affidabilità del loro autore.

Quindi sarebbe sbagliato, ferma restando la presunzione di innocenza fino al giudizio, pretendere che un magistrato che, certo non frettolosamente né tantomeno superficialmente, ritiene di essere di fronte a un reato lo tenga ibernato per non disturbare la campagna elettorale del possibile colpevole.

Ma soprattutto è assurdo pensare che il voto popolare ponga chi lo riceve al di sopra della legge, perfino nella ipotesi, veramente sconfortante, che gli elettori fossero pienamente coscienti di votare il/la colpevole di un reato.

Le tentazioni rinascenti in questo senso sono il sintomo allarmante della involuzione della classe politica e giustificano pienamente la denominazione di ‘casta’.

In questo clima ancora più assurdo è pensare a leggi elettorali che privino gli elettori del potere di scegliere con voto ‘uguale, libero e segreto’ (art.48) da chi farsi rappresentare in Parlamento.

Dopo che per la seconda volta la Corte Costituzionale ha respinto, forse imponendosi troppe limitazioni, leggi elettorali piegate agli interessi delle oligarchie di partito, ora spetta ai cittadini pretendere il rispetto della loro sovranità e il definitivo abbandono della mitizzazione della ‘governabilità’, per un ritorno alla prevalenza del principio di rappresentanza, senza ‘premi’ né liste o capilista scelti dall’alto.

Infine: in queste vicende un ruolo fondamentale lo svolgono i mezzi di informazione, spesso giustizialisti o garantisti a seconda delle convenienze. Come vediamo ormai da alcuni mesi nel caso del comune di Roma, lo stesso fatto può essere ‘strillato’ in prima pagina o ottenere poche righe, magari in un ‘pastone’ politico.

Forse sarebbe opportuno estendere il concetto di uguaglianza: i cittadini dovrebbero essere uguali non solo di fronte alla legge, ma anche ai giornalisti.

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