“ Gli elementi cruciali dell’assetto istituzionale disegnato nella Parte Seconda della nostra Costituzione (forma di governo, sistema bicamerale) sono rimasti sostanzialmente invariati dai tempi della Costituente. E’ invece opinione largamente condivisa che tale impianto necessiti di essere aggiornato per dare adeguata risposta alle diversificate istanze di rappresentanza e d’innovazione derivanti dal mutato scenario politico, sociale ed economico; per affrontare su solide basi le nuove sfide della competizione globale; ...”
Questo è l'inizio della relazione di accompagnamento al ddl governativo che avvia le procedure di modifica della nostra Costituzione, e sembra contenere le motivazioni che dovrebbero giustificare lo stravolgimento del nostro sistema democratico. Forse può veramente aiutarci a capire meglio cosa sta succedendo.
Intanto credo sia legittimo avere dei dubbi sulla 'larga condivisione' della necessità di modifiche costituzionali alla luce della storica vittoria del NO nel referendum del 2006, che cancellò il precedente tentativo di riscrivere la Carta costituzionale. Quali dati oggettivi consentono al presidente Letta di fare una simile affermazione? Il suo partito si è presentato ed è stato votato con un programma che dichiarava la priorità di cambiare la legge elettorale, e non parlava certo di modifiche alla 'forma di stato e di governo'.
L'ultima 'larga condivisione' di cui si ha notizia è la vittoria del referendum contrario alla privatizzazione dei servizi idrici, che invece il PD sembra impegnato a non far rispettare. Quei 27 milioni di voti, è vero, dimostrano una 'diversificata istanza di rappresentanza', ma certo non nel senso di un accentramento del potere in senso presidenzialista, quanto piuttosto di una richiesta di ascolto della volontà popolare facilmente ottenibile con semplici modifiche ai regolamenti parlamentari (oltre che con un salto di qualità etico degli eletti, ma di questo è inutile parlare finché ci sarà questa legge elettorale).
Per quanto riguarda poi il 'mutato scenario politico', come negare che il problema più urgente sia il dilagante astensionismo che ha caratterizzato le ultime consultazioni e che solo la malafede di alcuni 'tecnici' può considerare normale? Ma che c'entra la Costituzione con la disaffezione verso una classe politica impresentabile che si autoperpetua impedendoci di scegliere da chi farci rappresentare? Il mutamento, in peggio, dello scenario politico è il frutto proprio degli errori degli stessi che ora pretendono di istituzionalizzare le violazioni della Costituzione e delle leggi in generale; è responsabilità dei protagonisti, non del testo che non hanno voluto interpretare correttamente.
Da considerare con attenzione invece il riferimento alle 'solide basi' per affrontare le 'nuove sfide della competizione globale'.
Infatti sarebbe utile che la strana coppia Alfano-Letta o i loro mandanti (residenti non a caso sullo stesso colle) ci spiegassero quali articoli della Costituzione hanno imposto ai governi Berlusconi di occuparsi delle leggi 'ad personam' e degli interessi propri e degli 'amici', invece che delle conseguenze della crisi economica. Oppure quali procedure istituzionali impediscono all'attuale governo di recuperare le risorse necessarie ripristinando una effettiva progressività del sistema fiscale, abolendo veramente o almeno riducendo i finanziamenti ai partiti (contro i cittadini si sono già espressi con un referendum), approvando una legge seria contro la corruzione, ridefinendo le priorità delle 'grandi opere' cui è così interessata gran parte della criminalità organizzata, eccetera.
Rimane l'ipotesi che l'esigenza sentita, anche se non chiaramente espressa, sia in realtà l'abolizione di tutti gli strumenti di controllo e di garanzia democratica, fino a ridurre il Parlamento a un ente inutile, ad asservire la Magistratura alla politica, a piegare la Costituzione alle esigenze del momento. Il tutto in nome di una pericolosa 'governabilità' che la storia ha già ampiamente condannato nel secolo scorso.
Non a caso da alcuni viene invocato il 'modello del Sindaco' o dei presidenti di regione, attribuendo valore positivo a una esperienza che ha in realtà prodotto il moltiplicarsi della corruzione, del nepotismo, del protagonismo individuale.
Ipotesi in perfetta sintonia con le affermazioni di JP Morgan, la banca americana che tanta responsabilità ha nella crisi che ancora stiamo vivendo e che individua proprio nelle costituzioni 'adottate in seguito alla caduta del fascismo' (e quindi antifasciste) il problema. La lista degli ostacoli sulla via 'morganiana' del progresso sono chiaramente elencati: "Esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di protestare se sono proposte modifiche sgradite dello status quo."
La ricetta è chiara: governo forte, parlamento debole, niente tutele per i lavoratori, repressione del dissenso. Cioè un presidenzialismo senza contropoteri, per il quale Licio Gelli e Berlusconi possono legittimamente rivendicare il diritto d'autore. Un presidenzialismo in grado di proseguire la redistribuzione della ricchezza dai meno fortunati in favore di pochi privilegiati (già in atto negli ultimi anni), di garantire l'immunità a corrotti e corruttori, e magari di ottenere anche un consenso plebiscitario grazie al monopolio della informazione.
Ecco: grazie a JP Morgan è più chiaro su quali 'solide basi' intendono costruire la loro 'pacificazione' Alfano e Letta per riformare la nostra Costituzione repubblicana e antifascista (per ora).