De Luca, il rischio dell’intolleranza

di Massimo Villone - Repubblica Napoli - 01/10/2015

Un De Luca di annata quello che – con l’aggressività che gli è abituale – ha definito RaiTre una fabbrica di depressione, in cui lobby radical chic compiono atti di camorrismo giornalistico, di aggressioni personali, di imbecillità.

Ci si aspetterebbe, insieme a toni così aspri, un elenco di menzogne, false rappresentazioni, dolose omissioni, calunnie, diffamazioni, danni all’immagine, e conseguenti querele e richieste di risarcimenti milionari.

Forse in seguito sentiremo di più. Ma al momento, a quel che sappiamo, c’è solo l’invettiva. Perché?
Intanto, per rassicurare i seguaci. Una trasmissione televisiva su rete nazionale, per noiosa che sia, parla a moltissimi. Una rappresentazione negativa può recare danno alla immagine del leader. Per questo, la mancata risposta a un attacco vero o presunto può dare un’impressione di debolezza, e intaccare la leadership. Il dubbio può insinuarsi e fiaccare lo spirito delle truppe. Si rischia la capacità di coltivare e mantenere la base di consensi personali che è oggi la chiave del successo in politica. Un tempo il partito di appartenenza avrebbe imposto cautela ai De Luca, per la consapevolezza che una reazione individuale scomposta avrebbe recato danno a tutti. Ora i De Luca fanno quel che reputano utile per se stessi. E per il peso che hanno nei partiti sanno di non doversi preoccupare di particolari reprimende.
 
Si spiega anche così perché la politica sia in tanta parte urlata, quando è ben noto che le urla possono infiammare la platea amica di un comizio, ma al di fuori di quella non convincono nessuno. Se i seguaci di De Luca abbiano bisogno di rassicurazioni alla fine non ci riguarda. È vero il contrario, invece, se c’è un fine di mettere la mordacchia al watchdog, come lo definirebbero gli inglesi. Una reazione violenta e sopra le righe oggi può intimidire, e soprattutto dissuadere domani qualcun altro dal recare fastidi ulteriori. Questo preoccupa.
 
La libertà di stampa e di informazione è uno strumento essenziale per far valere il controllo sociale e la responsabilità politica. La pubblica opinione consapevole che nasce da quella libertà è elemento fondativo della democrazia. Nei paesi normali, il giornalismo d’inchiesta fa cadere governi e potenti. Nel nostro paese rimane gracile. Quello che abbiamo, dobbiamo difenderlo. Soprattutto nel tempo in cui la corruzione è pervasiva ed endemica e le forme organizzate della politica si sono sostanzialmente dissolte nella personalizzazione estrema, nel populismo demagogico, nel feudalesimo di capi e capetti.

Inoltre, De Luca ha un problema. Deve convincere che la sua vittoria non è nata da una forzatura. Deve provare che la sua cifra è quella dello statista, e non del guitto di periferia. Questo perché la seconda regione di Italia ha bisogno nella poltrona al vertice di chi possa parlare con credibilità e autorevolezza. Sono qualità che non si costruiscono sui decibel delle esternazioni. E che si possono solo perdere quando non si sa argomentare con pacatezza e serietà le proprie ragioni. Se De Luca ritiene di aver ricevuto un ingiusto danno dalla trasmissione, ha tutti gli strumenti per rispondere in modo adeguato, sul piano giudiziario o su quello dell’informazione.
Se invece semplicemente non gradisce o non condivide l’impostazione di quanto è andato in onda, se ne faccia una ragione. Chi fa informazione non deve porsi l’obiettivo primario di compiacere il potente. Al contrario. E chi ha il potere deve accettare più di ogni altro di essere osservato con occhio critico e non amichevole. Può pretendere il rispetto delle regole, ma se non c’è illecito non può gridare al camorrismo giornalistico. In ogni caso, sbaglierebbe a reagire con un camorrismo politico.

Può darsi che la puntata di Report attaccata da De Luca fosse mortalmente noiosa. Non importa. Stampa e informazione sono pilastri della democrazia, e tale è anche la più inguardabile delle trasmissioni. Tale non è, invece, Il potere autoreferenziale e intollerante.

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