La SATA di Melfi è, in questi giorni, al centro dell’attenzione nazionale, Marchionne la candida, con grande esposizione mediatica, ad essere la più importante fabbrica del gruppo Fiat/Chrysler (FCA) in Italia, la testimonianza, dopo aver spostato all’estero tutto lo spostabile, di quanto Fiat tenga all’Italia. Millenovecento nuove assunzioni promesse, ottocento già attuate. L’intesa con il governo Renzi è totale, le nuove assunzioni vengono “vendute” come il primo tangibile risultato dell’approvazione del Jobs Act, mai come in questo momento assistiamo ad un gioco di squadra tra governo e padronato. Tutte le RSA dello stabilimento di Melfi hanno firmato l’accordo - raggiunto in questi giorni dai livelli nazionali dei sindacati - per l’aumento da 15 a 20 turni nelle linee di produzione della Jeep Renegade e della 500X.
La Fiom, che notoriamente non è al tavolo nazionale, contesta l’intesa. In particolare De Palma e Brancato (responsabili nazionali Fiom del settore auto) contestano il nuovo modello organizzativo “ nel passaggio dal primo al terzo turno, dopo aver lavorato sei giorni al mattino smontando il sabato alle 14, bisognerà tornare al lavoro alle 22 della domenica sera per quattro giorni di turno notturno. Questa organizzazione della turnistica prevede che a partire dal mese di marzo siano occupati o i sabati o le domeniche di tutte e quattro le settimane”. Si introduce, inoltre, il paradosso dell’adozione di due regimi diversi nella stessa fabbrica, infatti la linea per la produzione della Grande Punto rimane organizzata sui 12 turni, con condizioni di lavoro e trattamenti salariali differenti. L’accordo è stato duramente respinto e contestato in una infuocata assemblea dal turno di notte, dal 1° e 2° turno. Ma i sindacati sottoscrittori (Fim-Uilm-Fismic-Ugl-Aqcf) rifiutano l’esito del voto, perché la firma con Fca-Sata, (26 febbraio 2015), prevedeva espressamente di non sottoporre l’accordo stesso al voto operaio.
Il processo di trasformazione che sta subendo la Sata è tale che con 1.100 auto prodotte ogni giorno Melfi diventa la prima fabbrica d’auto in Europa a ciclo continuo. I costi sociali e personali per gli operai sono pesantissimi: 2 settimane di lavoro continuo, prima di avere il turno di riposo. Si riparte, poi, con un altro turno, ancora 2 settimane e poi via con una rotazione fino a 20 turni, in orari diversi, sabato, domenica e festivi compresi. Non c’è alcuna attenuazione delle saturazioni, la mensa rimane a fine turno, i turni di riposo sono previsti solo sui turni di pomeriggio e notte, la Fiat risparmia sulle maggiorazioni, la produzione si ferma solo la domenica pomeriggio per la manutenzione degli impianti.
A tutto questo non corrisponde alcun
vantaggio salariale: l’indennità weekend di 1300 euro annui lordi,
comprende 240 euro di Par (Permessi aziendali retribuiti) e poiché Fiat è
uscita da Federmeccanica, gli operai del gruppo prendono in un anno 750
euro in meno del contratto dei metalmeccanici. Per cui dei 1300 euro,
ne restano 310, pari a poco più di 5 euro (lordi) per weekend. Da
settimane gli operai, anche gli iscritti ai sindacati firmatari, si
lamentano «dei carichi di lavoro, «dei ritmi da schiavi senza pause»
tanto che alcuni nuovi assunti si sono già dimessi. L’accordo pur
togliendo gli straordinari comandati non fa calare le ore di lavoro.
«Se prendiamo il mese di marzo una squadra in linea lavorerà sei giorni a
settimana per 50 ore», denuncia, ancora, Michele De Palma, responsabile
auto della Fiom. I metallurgici della Cgil, ancora esclusi dalle Rsa
elette, hanno saputo dell’accordo nell’incontro separato con l’azienda. E
ora chiedono di congelarlo: «Non è condiviso dai lavoratori, va
sospeso.
Noi abbiamo chiesto all’azienda di riaprire la trattativa con un incontro unitario, siamo in attesa di una risposta», conclude De Palma. Quello che sta avvenendo a Melfi non riguarda solo gli operai dello stabilimento, sempre i modelli sperimentati nei luoghi di lavoro anticipano sviluppi generali della società, la democrazia è una conquista che si alimenta del valore che si attribuisce al lavoro. Marchionne approfitta del clima politico favorevole, del “governo amico” per dare il colpo di grazia alla ”civiltà del lavoro salariato” applicando a Melfi il nuovo modello di sfruttamento operaio che dovrebbe rendere competitivo il “prodotto italiano” tutto a discapito delle condizioni di lavoro. Prima si esportavano le fabbriche ad Est per abbattere i costi e ridurre le tutele ora si porta l’Est in Italia, in Basilicata. Parafrasando il titolo di un importante testo di alcuni anni fa di Boutang si potrebbe dire che a Melfi parte un percorso che rischia di diventare “Dal lavoro salariato alla Schiavitù Salariata”.