Bersani ha fatto karakiri con un gesto fortemente simbolico, come i samurai che attuavano questa particolare forma di suicidio quando dovevano espiare una colpa. E in questo caso la colpa era davvero molto grave. Consisteva nell’aver distrutto un partito (forse mai davvero nato) nemmeno tanto a piccole dosi omeopatiche, per arrivare, scossone dopo scossone, ad una soluzione - la rielezione di Napolitano a Presidente della Repubblica - che rappresenta il più indecente preludio al governissimo da lui così maltrattato in campagna elettorale.
Tuttavia il disastro di questi giorni di Bersani, mi spinge ad una riflessione più generale, che parte dal clima che si respirava immediatamente dopo la sconfitta elettorale della sinistra alle elezioni politiche di febbraio. Dunque all’indomani di quel voto, alcuni compagni provenienti dalla storia del PCI, che avevano votato per Sel o per Rivoluzione Civile, sembravano ormai quasi rassegnati e con sincerità mi dicevano che l’unica vera scelta da compiere era ormai di ritornare nei ranghi, di ritornare all’ovile, cioè nel PD, dove era ancora possibile condurre una battaglia utile, a viso aperto, democratica, spostando forze e orientamenti politici moderati. Era molto difficile avviare con i miei amici una riflessione più profonda sulla natura ambigua del PD fatta di anime così lontane, che prima o poi sarebbero entrate in rotta di collisione, sulla sua struttura piramidale e notabiliare, che riprendeva quella della vecchia DC; come, del resto, non era semplice discutere della balcanizzazione di un partito, che ad un occhio più freddo e distaccato appariva da tempo senz’anima e senza identità, in perenne promiscuità con le politiche neoliberiste di Monti e della Merkel. Non era facile neanche parlare riflettere tra noi del forte segnale di cambiamento, che comunque veniva dal successo politico del Movimento Cinque Stelle. Niente. Non c’era nulla da fare; nemmeno se ricordavi loro il massacro sociale avvenuto con la complicità del PD col governo Monti, riuscivi a convincerli che oggi poteva esserci un’altra strada. Loro la pensavano così. Erano convinti che nel PD comunque era possibile incontrare la storia migliore del PCI. Non si erano accorti, questi compagni, che Bersani e i suoi amici, quella storia l’avevano stracciata tante volte e, negli ultimi tempi, prima implorando un accordo con Grillo, poi avviando una trattativa sottobanco con Berlusconi; infine, come in una tragedia classica, uccidendo il padre, Stefano Rodotà, l’ultima possibilità per non essere umiliati, per mettere alla prova la disponibilità di Grillo; l’ultima possibilità per ricostruire un stato di diritto in un paese in cui i diritti, a partire da quelli dei lavoratori, sono stati in questi anni sistematicamente violati e negati. Senza che nessuno, al di là della Fiom, alzasse un dito.
Gli spazi per una sinistra alternativa nel nostro paese, mi ripetevano i miei amici, si erano ormai esauriti. Dunque non c’era altro da fare che lavorare dall’interno del PD, per sperimentare nuove e inesplorate strade a sinistra. Questo orientamento politico, devo essere sincero, mi sembrava talvolta molto vicino agli ultimi discorsi di Ingroia - persona rispettabilissima e integerrima - quando apprezzò gli otto punti sottoposti da Bersani a Grillo, o quando si apprestava ad accettare un importante ruolo nella giunta Crocetta in Sicilia. Poi abbiamo visto come è andata. E anche questo, lo dico con grande amarezza, dovrebbe spingerci tutti alla riflessione, perché nella vicenda del magistrato siciliano è molto chiaro il costituirsi a più livelli di quei poteri forti, reazionari, che hanno intorpidito il nostro paese; quei poteri forti che, dopo averlo contrastato sulla trattativa Stato Mafia, ora vogliono impedirgli di mettere a disposizione del paese la sua straordinaria esperienza in magistratura.
Ma per tornare al punto iniziale da cui sono partito, vorrei dire a quei compagni favorevoli ad una ricerca dentro il PD, che ora tutti, dico tutti, con l’elezione di Napolitano a Presidente della Repubblica, abbiamo potuto vedere che il re è nudo. Tutti abbiamo visto di quali disastri per la democrazia del nostro paese è capace quel partito fatto di anime così diverse e feroci. Un partito di notabili sta consegnando il paese a Berlusconi su un piatto d’argento, questa è la verità.
Per questo, da ieri l’agenda politica della sinistra è cambiata. E chi, come noi, crede in una sinistra diversa, alternativa, non può restare a guardare con la deflagrazione del PD la stessa dissoluzione dell’idea di sinistra; dobbiamo invece ridare una speranza a tanti militanti che hanno creduto in questi decenni nella possibilità di cambiare; di cambiare i partiti, di porre al centro della politica la questione morale, di cambiare le istituzioni; di cambiare le politiche liberiste per dare una risposta ai milioni di lavoratori che stanno subendo ormai da anni gli effetti devastanti della crisi. Ma la risposta deve essere più complessiva; deve impegnare anche la Cgil nella ricerca dei suoi errori e della sua crisi di rappresentanza e di identità. Quella sinistra plurale, che esiste in tanta parte del nostro paese, dai partiti antiliberisti alla società civile, deve trasformarsi in soggetto unitario di cambiamento, abbandonando ogni seduzione narcisistica o leaderistica. Abbandonando ogni settarismo. Questa nuova sinistra va costruita dal basso con tutte quelle forze che operano in tanti luoghi separati della società. Noi abbiamo il dovere di salvare, insieme, una storia e una memoria, e una comunità che sappia dar voce a chi non ha più voce per gridare tutta la sua indignazione nei confronti della politica che l’ha lasciata nella disperazione e nella solitudine.
Per questo io credo che già in queste tragiche ore per il paese e per la sinistra, occorra avviare un percorso unitario costruendo dal basso una nuova soggettività politica che si ponga l’obiettivo di riaffermare i valori fondanti del movimento operaio italiano.