In realtà l’obiettivo è quello di allontanare il più possibile i luoghi delle decisioni collettive dalla vita quotidiana dei cittadini, un provvedimento dunque di ulteriore desertificazione della democrazia, non il primo se pensiamo alla eliminazione dei consigli di quartiere, alla riduzione drastica dei componenti i consigli comunali e delle stesse giunte, per non dire poi della insignificanza degli stessi consigli comunali rispetto allo strapotere dei sindaci e delle giunte comunali. Dell’ abolizione delle province il ministro Del Rio ne ha fatto il suo cavallo di battaglia , così alla fine riuscirà ad essere nello stesso tempo sindaco (di Reggio Emilia), Presidente dell’Unione dei comuni della sua ex provincia, nonché appunto ministro di un governo di larghe, si fa per dire, intese.
Chi propone l’abolizione delle province dovrebbe almeno spiegare come intende gestirne le funzioni, alcune molto rilevanti nel campo dell’istruzione, della viabilità, dell’ambiente. Centralizzarle a livello regionale? È stato fatto a suo tempo per la sanità nel 1992, a danno dei comuni e trasferendo tutti i poteri, legislativo, amministrativo e di controllo alle regioni. Con i risultati ben noti che appartengono soprattutto alla cronaca giudiziaria.
L’ipotesi più quotata è in realtà quella di appoggiare le funzioni delle provincie sull’Unione dei comuni. Ma nell’Unione dei comuni ogni comune peserà in base ai propri abitanti e il comune capoluogo avrà un peso decisionale esorbitante. E ovviamente conteranno i colori politici delle amministrazioni comunali. Insomma si rischia la paralisi decisionale. I cittadini non sapranno con chi prendersela. Oggi, con l’elezione diretta delle amministrazioni provinciali, i cittadini hanno almeno la possibilità di decidere con il voto la maggioranza destinata a governare, e a cambiarla se ha operato male.
Domani con l’unione dei comuni tutto questo non sarà più possibile. Del resto l’esperienza siciliana di Crocetta sta già rivelandosi un enorme flop, una presa in giro che invece di semplificare ha ulteriormente complicato l’architettura istituzionale.
Ed infine c’è da chiedersi perché mai accanirsi sulle provincie se solo si pensa che a fronte di un debito pubblico stimato per il 2012 in circa 2000 miliardi di euro, le provincie contribuiscono solo per un irrisorio 0,4%, i comuni per il 2,5% mentre è l’amministrazione centrale a pesare per ben il 94,2% (Rapporto IFEL sulla finanza comunale del 16.10.2013, http://youtu.be/vr7oy9n87fo ) ?