Anche Scalfari nell’ammucchiata degli orfani di B.

di Daniela Gaudenzi - Il Fatto Quotidiano - 29/11/2017

Il PdR (Partito di Renzi) gli ha fatto a colpi di fiducia una legge elettorale su misura che nemmeno lui avrebbe potuto immaginare più favorevole; Matteo Renzi ha lanciato letteralmente un appello perché l’incandidabile secondo la legge Severino, votata da FI e dal Parlamento che aveva riconosciuto Ruby come nipote di Mubarak, possa candidarsi contro di lui nello stesso collegio a dimostrazione dell’infondatezza delle tesi inciuciste; la stampa da sempre vicina al Cav e all’ex rottamatore, con in testa Il Foglio di Claudio Cerasa, da giorni irride la Corte europea investita incredibilmente da B. del suo singolare caso di “violazione dei diritti umani” con lo slogan “chissenefrega di Strasburgo”.

In tale contesto si poteva facilmente prevedere o dare per scontato che all’ammucchiata degli affezionati di lungo corso, dei molti estimatori dichiarati o di quelli, ancora più numerosi, a “loro insaputa”, dei sostenitori della “moderazione” e della “caratura politica” se non addirittura della tempra di statista di B. si sarebbe infine aggiunto il fondatore di Repubblica che per almeno due decenni aveva ostentatamente indossato i panni dell’ implacabile fustigatore del Caimano? Forse sì anche perché da molto tempo il giornale-partito generato da Eugenio Scalfari fresco di rinnovamento, “alla ricerca dell’anima mutata nel tempo per portare avanti abbracciati” come ha detto elettrizzato il condirettore Tommaso Cerno, la vocazione di una testata “proiettata nel futuro”, di segnali in tal senso ne aveva dati a profusione. E dunque in vista di una campagna elettorale in cui il PdR dopo le disfatte in Sicilia e ad Ostia parte da condizioni che nessun critico del renzismo, per quanto feroce, poteva prevedere fino ad un anno fa, l’esigenza di far sopravvivere il partito di riferimento o il simulacro di quello che è stato, indipendentemente da ciò che è diventato, comporta per Eugenio Scalfari (ed epigoni) posizionamenti “estremi” e quantomeno sconcertanti anche per i lettori che hanno continuato a seguirli.

Difendere l’indifendibile e cioè un partito depurato dei “sabotatori” che si auto-celebra nella Leopolda post referendum raccontandosi che “è più forte di prima” comporta anche   come necessario corollario la piena “riabilitazione” di B., il cui unico neo sarebbe stare a capo di una coalizione litigiosa a fianco di Salvini; la squalificazione dei fuoriusciti protagonisti, secondo Tommaso Cerno, di un regolamento di conti di stampo delinquenziale in senso politico; ed in primis l’annientamento del M5S, l’unico vero e forte avversario del Pd, dunque il nemico pubblico.

E sarebbe la pericolosità assoluta del M5S ad aver suggerito ad Eugenio Scalfari la risposta irricevibile per i tanti che in buona fede, con il senno di poi, gli hanno dato credito per troppo tempo: una risposta “sceglierei Berlusconi” che lo stesso Scalfari in un commento successivo su Repubblica ha liquidato come semplicemente conseguente a una domanda “paradossale”. Ma pure se si volesse ammettere la paradossalità della domanda “Lei chi sceglierebbe tra Di Maio e Berlusconi per affidargli il paese” (e sarebbe stato persino preferibile che l’ex implacabile accusatore di B. si fosse avvalso della facoltà di non rispondere) a lasciare ancora più sgomenti è stata la motivazione ex post: sia Di Maio che B. sono populisti ma “il populismo del secondo ha una sua sostanza”. Una conferma molto puntuale dell’esistenza e soprattutto della natura della “sostanza” individuata dall’acume di Scalfari nella compagine berlusconiana, chissà forse nelle file di impresentabili schierati felicemente in Sicilia, a soli due giorni di distanza gliel’ha data l’oggetto del suo endorsement che a caldo l’aveva subito elogiato per la sua intelligenza nell’averlo preferito a Di Maio.

Infatti dalla “Leopolda Azzurra”, perfetto pendant in fatto di populismo a colpi di bonus, regalie elettorali e anatemi contro il M5S di quella storica dell’amico Matteo, non casualmente mai citato come avversario, Berlusconi ha definito Marcello Dell’Utri “un prigioniero politico” e un esempio di persona “al servizio del paese”. Impossibile negare che se di populismo si tratta, e magari anche di dichiarazioni eversive e strizzatine d’occhio agli amici degli amici, di sostanza ce ne sia decisamente molta.

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