Immediatamente dopo l’inevitabile e comprensibile retorica del dolore per la strage di Parigi ha fatto irruzione la retorica della guerra sia nelle parole del presidente Hollande, che ha ritenuto opportuno rivendicare “la spietatezza” e ancor più nel lessico bellicista di Putin ben rodato dai tempi della Cecenia.
L’asse militare Parigi-Mosca per annientare l’Isis a “casa sua” nella regione del Califfato sembra già cosa fatta anche se in troppo pochi si stanno domandando quali siano gli “effetti collaterali” di questo interventismo a caldo e se l’ipotetico annientamento dello stato islamico non abbia come immediato contrappeso il rafforzamento della dittatura di Assad e dell’influenza di Putin in una regione esplosiva.
Anche il nostro ministro degli esteri Paolo Gentiloni, dopo aver precisato che l’Italia combatte l’Isis in quanto “pericolo assoluto” ma che non ritiene si debba usare per noi l’espressione “siamo in guerra”, ha voluto sottolineare come l’intervento russo sia fondamentale non tanto militarmente quanto “politicamente”. Una sottolineatura densa di implicazioni e di conseguenze per l’Europa e non solo riguardo l’aspetto più scontato delle sanzioni di cui ovviamente un Putin novello Goffredo di Buglione contro l’orrore dell’Isis pretenderebbe l’immediata rimozione con tante scuse.
Andare alla spicciolata a rimorchio di Putin, che dopo essere intervenuto in Siria per stroncare gli oppositori di Assad invece che il Califfato, e per garantirsi una maggiore sfera di influenza in un’area strategica, ora ha raddoppiato le incursioni aeree contro i jiadhisti (sta usando navi e sottomarini dal Mediterraneo per il lancio di missili), rischia di essere controproducente e pericoloso.
Inoltre la soluzione bellica che ora viene considerata la sola risolutiva dovrebbe includere il concerto e la collaborazione di paesi strategici, in primis “l’Arabia Saudita, l’Iran, la Turchia, l’Egitto che sono manifestamente non disposti a rinunciare a combattere per i loro interessi in nome della lotta al comune nemico come ha osservato Tommaso Canetta nell’articolo intitolato molto felicemente Guerra all’Isis, il problema è quello che succede dopo.
Senza contare che se, come ha drammaticamente sottolineato lo stesso Hollande, nel venerdì terrificante di Parigi abbiamo visto “francesi uccisi da francesi” e se i foreing figthers arruolati in Europa oscillano tra i 25.000 e i 30.000 dobbiamo veramente confidare nell’arsenale di Putin, nelle sue taglie e nella “promessa” di stanarli ovunque, uno ad uno?
Gli attacchi o gli atti di guerra alla Francia, come li considera Hollande, saranno stati ordinati e/concepiti in territorio siriano ma hanno preso corpo e hanno prodotto il loro effetto devastante con le braccia e le gambe di cittadini belgi e francesi. I giovani ricercati dalle polizie di tutta Europa o che si sono fatti saltare venerdì scorso assomigliano terribilmente ai protaginisti de “L’Odio”, il film choc e “preveggente” sulla banlieue parigina di Mathieu Kassovitz allora appena trentenne e molto arrabbiato per la morte violenta di un ragazzo in un commissariato.
Da allora sono trascorsi venti anni e dieci dalla rivolta che mise a ferro e fuoco le periferie di Parigi per la morte accidentale di due ragazzi che fuggivano da un controllo della polizia. E’ in quell’ambiente, tra gli immigrati (e non solo) tantissimi, in buona parte magrebini di seconda e terza generazione mai integrati per tante cause e sempre più stranieri in patria, che matura “la conversione” nell’arco di una o due settimane al verbo di morte dell’Isis.
E’ da lì che si doveva iniziare a intervenire – e non solo con la repressione – tanto tempo fa. Quanto possano agire su questo serbatoio di odio dal potenziale infinito nel cuore dell’Europa, certamente non eliminabile con l’eventuale annientamento del Califfato, le minacce e le offensive di Putin e alleati rimane abbastanza oscuro.