L’ultimo richiamo, una sorta di memento mori per i sedicenti “innovatori” che vogliono rimanere al governo e in Senato anche dopo la decadenza ormai imminente, nonostante tutte le manovre e i colpi di scena, Berlusconi l’ha caricato con la minaccia più terrificante :“Attenti farete la fine di Fini”.
E’ la certificazione più inoppugnabile dello stato delle cose nel Pdl che da partito-protesi del capo ormai in disarmo si sta scomponendo in famiglie, clan, bande dove, come ha detto Bondi con accenti molto concreti per un poeta,“le rape” dopo il tocco magico dell’ unto ritornano ad essere “rape” e di “questi uomini non rimarrà nulla”.
Che con la fine, o quanto meno l’uscita dalla scena istituzionale, del padrone che ha operato costantemente e coerentemente sempre e solo per i suoi interessi, si sarebbe sgonfiata la bolla della compattezza del partito “dei moderati” ispirato a De Gasperi, tenuta su dalla compiacenza mediatica e dalla mancanza di opposizione ventennale, non è una grande una notizia.
Però in un arco di tempo molto limitato, di qui all’8 dicembre data delle primarie del Pd per il nuovo segretario, entro il quale in Senato si dovrà finalmente votare sulla decadenza di Silvio Berlusconi e nel Pdl si definirà la conta tra “lealisti” e “governativi”, sul “teatrino della politica”, secondo la felice definizione del suo ventennale capocomico, potrebbe finalmente calare il sipario. Almeno sul “teatrino” dominato dai due partiti che hanno dato vita agli ultimi due governi, a vario titolo, di “larghe intese“, più quel che resta di quello fondato da Monti e sfondato definitivamente con l’operoso contributo di Casini & co.
Se il Pdl, come ha diagnosticato sconfortato il “povero” Bondi, rischia “il niente” o lo stato di tubero, il Pd che arriva alle primarie abbruttito dallo squallore delle tessere “gonfiate” e dalla piena e totale sconfessione di Romano Prodi, l’unico che l’ha fatto vincere per ben 2 volte, non gode di ottima salute.
Certo il Pd ha ancora da giocare la carta di Matteo Renzi ma con almeno tre incognite gigantesche, al di là della forza e della coerenza del suo programma. In primo luogo quanti saranno gli elettori che avranno ancora voglia di mettersi in fila e di pagare due euro e per votare dopo “il boom dei tesseramenti”, che non è come dice D’Alema, “un attacco politico fondato su menzogne”, né tanto meno un “fenomeno” nuovo. Basterebbe pensare che cosa era successo a Napoli per le primarie alle comunali.
E se, come è probabile, Renzi diventa il nuovo segretario, e questo non comporta la scissione già a suo tempo prevista per la premiership, che cosa ne sarebbe del suo sbandierato progetto di cambiamento radicale, con “innovatori” del calibro di Fassino, Nicola La Torre e Agazio Loiero come gli ha chiesto Marco Travaglio, senza avere risposta, a Servizio Pubblico?
E
inoltre non va dimenticato nemmeno il non piccolo dettaglio che uno dei
protagonisti della prossima vita politica del Pd rimane sempre Enrico Letta, come ha voluto sottolineare l’attuale segretario Epifani, aprendogli la strada alle prossime primarie come candidato premier. Quanto alla linea politica di Letta Junior è molto chiara: si fonda sulla sintonia crescente con Angelino Alfano, dalla quale dipende la vita del suo governo, e sul disprezzo dichiarato nei confronti di Grillo e del M5S, liquidati come “populisti che urlano sempre contro qualcuno o qualcosa”.