Charlie Hebdo: il cerchio si ‘chiude’ nel modo peggiore, dovevano prenderli vivi

di Daniela Gaudenzi - Il Fatto Quotidiano - 11/01/2015

Non ci poteva essere un “happy end” per la tragedia iniziata con la strage nella sede di Charlie Hebdo, ma “la fine” è stata se possibile anche peggiore dell’inizio. Parigi, la Francia (e con loro l’Occidente) si sono mostrate impreparate e inadeguate nella prevenzione e nel controllo, nonostante le informative che erano arrivate dall’Algeria, e hanno chiuso almeno per ora i due giorni di terrore con un bilancio di sangue impressionante.

Se alle 17 del 9 gennaio 2015 e con l’eliminazione dei due fratelli Kouachi e del giovane Coulibaly, ricevuto solo 5 anni fa all’Eliseo da Sarkozy come un ragazzo delle banlieue in cerca di occupazione, è finito l’incubo di una metropoli in balìa di tre o quattro kamikaze islamici, non è minimamente finita la possibilità concreta di un seguito ravvicinato, come ha annunciato al QuedaUn’ipotesi inquietante ma tutt’altro che irreale e non solo perché si sono perse le tracce della ventiseienne moglie e complice di Coulibaly, in macchina con lui quando è stata uccisa la poliziotta e forse anche al supermercato kosher di Porte de Vincennes.

Ma soprattutto a dare corpo al sospetto che i due blitz che hanno chiuso la caccia ai terroristi non mettano la parola fine alle 58 ore che hanno sconvolto Parigi è la telefonata dal supermarket dove tiene in ostaggio una ventina di persone, di cui quattro uccisi, in cui Coulibaly parla di altri attentati con interlocutori non identificati.

E purtroppo i tre uomini che si sono “divisi i compiti” nell’esecuzione dei redattori di Charlie Hebdo e dei poliziotti e che si sono dichiarati affiliati all’Isis e ad al Queda, concretizzando una saldatura e una perfetta continuità tra le due galassie del fanatismo islamico, sono morti “combattendo” e sono diventati dei martiri.

La domanda ineludibile e che sembra quasi impronunciabile, l’ho sentita solo da Enrico Mentana, ed è molto banale: e cioè se dopo 60 ore di caccia da parte di più di 80.000 uomini dotati dei mezzi più sofisticati sia stato fatto veramente tutto per cercare di prendere i killer vivi. Certo, la risposta scontata è che è difficile lasciare in vita chi non vuole farsi prendere vivo, però a vedere il filmato dell’irruzione all’hyper casher di Porte de Vincennes sembrerebbe che non siano stati fatti molti sforzi in tal senso; e d’altronde come ci hanno ricordato gli esperti la decisione in proposito è sempre politica, cioè del ministro dell’Interno.

Non è nemmeno chiaro, insieme ad una serie notevole di elementi contraddittori, se una qualche “trattativa” sia mai stata aperta o quanto meno valutata.

Avere i terroristi, o come li si vuole chiamare, vivi avrebbe comportato la possibilità sul piano investigativo di penetrare nella rete articolata di collegamenti che oggi si può solo intuire e che è fondamentale ricostruire.  Avrebbe consentito di avere un processo, un dibattimento pubblico in grado di fare chiarezza su quanto rimane e probabilmente rimarrà avvolto da un’aura opaca e lasciato a ricostruzioni tutte da verificare.

Poter processare e condannare secondo le regole e le garanzie processuali di uno Stato di diritto i carnefici di una redazione avrebbe consentito alla Francia, la patria di Voltaire e di Montesquieu di mettere in pratica i valori fondamentali e non negoziabili su cui si fonda e di cui è orgogliosa la République.

Purtroppo a me sembra, a differenza di quanto ha sostenuto nello Speciale di Mentana Corradino Mineo, a lungo corrispondente da Parigi e dunque molto più competente di me, che la Francia non esca particolarmente bene dalla gestione di questa terribile emergenza e che abbia anche delle serie responsabilità, insieme allEuropa e all’Occidente per non aver saputo prevenirla né arginarla.

La mancanza di protezione adeguata per una redazione altamente a rischio, lasciata sola anche in termini di solidarietà intellettuale a rappresentare la libertà di satira, si è creduto di poterla compensare, ex post, con un dispiegamento di forze che in tre giorni avrebbe potuto liberare Kobane dal giogo dell’Isis. Il “successo” dell’operazione non è stato in grado di evitare la morte di quattro ostaggi e ha incluso la fine “eroica” dei tre vendicatori con un rischio di emulazione e di “vendette” a catena non prevedibile.

L’ultimo pericoloso capitolo di “occasioni perdute” si annuncia la grande manifestazione istituzionale di domenica se in extremis l’Europa non mette da parte la retorica e l’ipocrisia dominanti e non si rende credibile e coerente spendendosi concretamente per i valori che proclama, all’interno degli stati membri e in politica estera.

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