Compravendita senatori, con la condanna di B. certificata la corruzione parlamentare

di Daniela Gaudenzi - Il Fatto Quotidiano - 10/07/2015

La sentenza di condanna a tre anni a B. per la compravendita di senatori “una questione di vile pecunia, di baratto tra soldi e tutto quello che compete alla funzione parlamentare”, secondo la definizione del pm Woodcock, che ha minato la democrazia fino al punto di sovvertirla, è caduta nei giorni cruciali in cui tutti gli occhi sono puntati sul “caso Grecia“. Probabilmente è questo il primo motivo per cui la notizia è retrocessa nell’ordine della gerarchia informativa anche se, come ha ricordato Romano Prodi vittima della campagna acquisti berlusconiana a colpi di milioni di euro, la vicenda portata alla luce dal corrotto e transfuga reo confesso Sergio De Gregorio non ha mai goduto di una copertura mediatica adeguata.

In un’intervista a la Stampa Prodi dice testualmente: “Fu una vicenda grave che ha sovvertito la vita democratica del Paese e alla fine quello che mi ha sempre colpito è stata la sostanziale indifferenza dei mass media che l’hanno considerata alla stregua di una delle tante vicende di corruzione della seconda Repubblica”. E se come sostiene in modo del tutto condivisibile il Professore ad essere offesa in quella miserevole vicenda non è stata la sua persona ma la democrazia, forse anche per tenere più alta l’attenzione di fronte all’opinione pubblica su natura e strumenti dell’“operazione libertà” non sarebbe stato inopportuno che si fosse costituito parte civile, dato che al tempo era legittimamente presidente del Consiglio.

A distanza di un tempo che, in mancanza di un intervento organico sulla prescrizione per cancellare in primis gli effetti della ex-Cirielli, non consentirà nemmeno di avere una sentenza di secondo grado e che dunque ancora una volta garantirà a Berlusconi e soci l’impunità, non ha molto senso domandarsi quanto sia soddisfatto Prodi per la condanna del suo “nemico politico”.

Il dato di questa condanna che rimarrà la prima e ultima perché la prescrizione, anche se i tempi devono essere ricalcolati arriverà approssimativamente il prossimo 6 novembre, è che se pure con una riduzione di pena è stato accolto pienamente l’impianto accusatorio, supportato da prove tanto evidenti da indurre i pm a richiedere già nel 2013 il rito abbreviato.

Ma oltre a quello processuale c’è quello che viene definito più o meno propriamente “il dato storico”: e cioè che in Italia nel 2008 un governo democraticamente eletto è caduto perché nel Senato della Repubblica era in voga la pratica corruttiva del baratto delle funzioni di una carica elettiva con una congrua cifra. Se ad essere stato provato è stato il passaggio dall’Idv in Fi di De Gregorio, la rete dei “contatti” e degli “spostamenti” fu molto più estesa.

Ora i protagonisti di allora, sia il B. fagocitato da Salvini che deve affrontare il Ruby-ter (non impellentemente sotto la mannaia della prescrizione) sia il Professore attualmente presidente di un gruppo di lavoro Onu e recentemente inserito nel Totoquirinale non sono più al centro della scena politica. Ma questo non può in alcun modo derubricare a notizia di serie B la gravità senza precedenti di quanto accertato nella sentenza di primo grado dal tribunale di Napoli. Anche perché se il nostro recente e imbarazzante passato intimamente connesso al nostro fragile presente vogliamo dimenticarlo noi, ce lo ricordano comunque più o meno indirettamente i nostri partner europei e internazionali che ci lodano tanto ma ci tengono sempre in ultima fila.

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