In questa brutta campagna elettorale, e dopo i fatti di Macerata, stiamo assistendo ad uno spettacolo particolarmente degradante: è una rincorsa alla mistificazione fatta da chi associa l’immigrazione alla disoccupazione, alla criminalità e perfino al rischio di terrorismo.
Il governo, per parte sua, tenta d’imbellettare con sbandierati obiettivi di «lotta ai trafficanti d’uomini» o di «un’equa ripartizione dei richiedenti asilo tra i paesi Ue» la sostanza di una dura e spregiudicata politica di respingimento dei migranti.
In realtà concorre a quell’opera di strumentalizzazione politica che tenta di dirottare il malessere sociale e i sentimenti d’insicurezza avvertiti da tanta parte della popolazione dalle vere cause, facendo credere che i problemi che l’affliggono dipendano da una presunta minaccia esterna costituita dall’immigrazione. In tal modo s’inganna l’opinione pubblica su più versanti.
Il primo inganno è proprio quello di far credere che i nuovi flussi migratori possono essere fermati e che per farlo ogni mezzo sia giustificato: dagli accordi con i paesi d’origine e di transito perché impediscano l’emigrazione sul nascere fino alla cattura di persone innocenti ed inermi e la loro detenzione in campi in cui subiscono ogni sorta di violenza.
Il secondo inganno consiste nell’occultare attentamente i vantaggi che deriverebbero da politiche di accoglienza ben organizzate e capaci di una positiva integrazione. Vantaggi che possono essere facilmente indicati.
In termini demografici, è noto lo squilibrio derivante dai nostri andamenti di scarsa natalità ed aumento della vita media. Talché oggi, considerando la popolazione dei 27 paesi dell’Ue, un cittadino troppo giovane o troppo anziano per lavorare, dipende da 1,8 persone in età lavorativa, che si ridurranno a 1,5 entro 12 anni. Il che prospetta una situazione insostenibile a detta della stessa Commissione europea.
Per quanto riguarda le spese sociali, il mantenimento degli attuali standard di welfare richiederebbe una base contributiva garantita da un aumento della popolazione europea di 42 milioni di persone in 5 anni.
Cosa concepibile solo attraverso l’accoglienza e regolarizzazione di un numero di migranti esponenzialmente maggiore di quelli che bussano attualmente alle nostre porte.
Sul piano fiscale, come dimostra il bilancio italiano del 2016, tasse e contributi versati dagli immigrati nati all’estero e regolarmente censiti eccedono di oltre il 60% le spese di cui beneficiano. Né è trascurabile il loro apporto all’aumento del Pil (circa il 9% nello stesso anno).
In terzo luogo un confronto tra questa e le due altre grandi migrazioni che l’hanno preceduta (quella transoceanica di fine Ottocento e primo Novecento e quella del secondo dopoguerra dalle campagne alle aree industriali d’Europa) indica come anche l’attuale sia foriera di mutamenti di grande portata nel sistema mondo. Si tratta, infatti, di un tendenziale e sia pur parziale accorciamento di distanze tra Sud e Nord. Mutamenti quanto mai impellenti.
Per accennare al solo problema del calo demografico di cui dicevamo a proposito dei paesi europei, ad esso corrisponde un andamento opposto nel Sud del mondo, nei paesi che non hanno ancora spezzato il circolo vizioso tra maggiore povertà e maggiore popolazione. Ne consegue che la straordinaria crescita della popolazione mondiale prevista nei prossimi decenni (+ 2,3 miliardi nel 2050) si concentrerà per il 91,6 % nei paesi meno sviluppati: una vera e propria bomba demografica dagli effetti distruttivi paralleli agli altri grandi squilibri, ecologici, economici, sociali.
In conclusione si può dire che ci troviamo ad un vero e proprio punto di biforcazione storico.
O siamo capaci di aprire la società alle trasformazioni che premono; e la nuova ondata migratoria le rappresenta per più versi.
Oppure si persegue la strada della chiusura a questa come ad altre trasformazioni urgenti e ineludibili. Ma è una strada senza sbocchi.