Elezioni 2018: destra e sinistra, presunti competitor, uniti nel processare i 5stelle

di Daniela Gaudenzi - Il Fatto Quotidiano - 01/03/2018

Non si trovano ragioni per negare la diagnosi amaramente realistica che ha fatto Luisella Costamagna sugli italiani che stanno arrivando “delusi e sfiniti al voto” e l’unica consolazione è che i giorni sono ancora pochi e scorrono veloci, anche se lo scenario post voto potrebbe non essere molto più esaltante della campagna elettorale.

Le ragioni dello “sfinimento” odierno per “i programmi elettorali (farlocchi come le coalizioni)” e delle aspettative poco rassicuranti per il dopo voto sono da ricercare in quella legge elettorale fraudolenta e offensiva per la dignità degli elettori che Matteo Renzi con il favore B. e Salvini ci ha rifilato con tempi e modalità indecenti. Ed incredibilmente in campagna elettorale sta continuando a ripetere che “l’instabilità” pronosticata per il dopo voto va ricercata nel No degli elettori alla sua riforma costituzionale: un tale mix di menzogne che suona da irresistibile richiamo per gli elettori a rinnovare il giudizio inesorabile sul PdR espresso il 4 dicembre 2016.

 

Quale debba essere il livello di prostrazione dell’elettorato, percepito persino dai due presunti “competitori” del centrosinistra e del centrodestra, lo si può ricavare indirettamente dalla ‘forza’ degli argomenti per la chiamata al voto. Se Renzi nel suo autoreferenziale teatrino dell’assurdo è arrivato a citare il “turatevi il naso” di Indro Montanelli per chiedere il voto utile al Pd, B. ha osato un paragone con la pulzella d’Orléans quando con orgoglio ha affermato di essere stato “richiamato in campo”, da non meglio esplicitate forze superiori, “per contrastare il M5S, una setta non un partito democratico come Forza Italia“.

E quasi all’unisono, tanto che è difficile la corretta attribuzione delle definizioni, come in un duetto pre-registrato, B. ha rispolverato il vecchio copione delle Europee del 2014 con il signor Grillo, comico “pregiudicato” e “assassino” che tira le fila della setta in comproprietà con la Casaleggio Associati mentre per Renzi il fondatore del M5S è più che mai “lo spregiudicato pregiudicato” nonché “evasore fiscale” dopo il cosiddetto scoop del Giornale.

Anche quando i due finti competitori vogliono prendersela con una testata che non si accoda alle rispettive “narrazioni” e cioè alle fake news condivise come verità assolute dalla casta e dai suoi cantori, usano le medesime parole di irrisione.

B. per mettere all’indice il giornale di cui è direttore Marco Travaglio che, in prossimità del voto ricorda agli elettori come una sentenza definitiva accerti che “il padre nobile” del centrodestra ha pagato per anni la mafia, lo chiama “il Falso quotidiano” come Matteo.

In questo contesto alquanto stimolante, continua anche la gara non dichiarata tra le due coalizioni nell’aggiornamento degli impresentabili, nell’accaparramento di privilegi, nel mantenimento, al di là delle dichiarazioni, di inimmaginabili trattamenti per sé e per i propri cari a spese del contribuente come dimostrano le remunerazioni del Senato per la nuora e la consuocera dell’insuperato ex presidente Renato Schifani, quello dell’ineffabile Lodo.

Ma il processo, immancabilmente in qualsiasi occasione di confronto viene intentato nei confronti del M5S e del suo “candidato premier” Luigi Di Maio. Quantomeno per “fallimento di leadership”, per non aver saputo controllare preventivamente sulle mancate restituzioni, come gli ha contestato Lucia Annunziata in 1/2 ora in più, anche se si è trattato di 8 accertati su 120. Che il M5S non sia assimilabile alla palude dell’opacità, o peggio, in cui sguazza chi come Matteo Renzi davanti al resoconto di Fanpage non sa dire altro che “Roberto De Luca è stato coraggioso a dimettersi” né alla casta partitica come invece si è gridato all’unisono, con immediato effetto boomerang, per “rimborsopoli”, è fuori dubbio. Però non credo che questo possa bastare per presentarsi come alternativa veramente affidabile e per portare a votare la massa di indecisi e di potenziali astenuti che emerge da tutti i sondaggi.

Il caso Caiata, e cioè un’indagine per gravi reati finanziari, che arriva dopo alcuni veri impresentabili e altri mediaticamente gonfiati, ma soprattutto gli argomenti dei rappresentanti del M5S a livello locale dovrebbero costituire un serio elemento di riflessione per Luigi Di Maio. Occorre che casi analoghi non si ripetano se non si vuole incrinare l’affidabilità che tanti elettori continuano ad attribuire al M5S. E tenere sempre presente che la selezione delle candidature rimane un presupposto importante per essere credibili.

Rispondere “il fatto che l’abbiamo allontanato vuol dire che non teniamo conto dei voti ma del rispetto delle regole” è apprezzabile come rimedio ma non cancella il danno già causato. Tanto più che i 5S locali con vari comunicati avevano avvisato i vertici che quella candidatura “presentava dei rischi” per le frequentazioni politiche ed imprenditoriali lontanissime dal modo di essere del Movimento che Salvatore Caiata non aveva mai sostenuto né frequentato in precedenza. Insomma non sarebbe meglio tenersi un po’ alla larga da personaggi di cui si indovinano mood e background in maniera abbastanza intuitiva, tanto più se come Caiata sono stati coordinatori del Pdl a livello locale? E anche riguardo vari candidati in odore di massoneria è emerso che sono stati contattati solo un mese prima dell’operazione liste e che non hanno un percorso condiviso con il movimento né hanno manifestato di essere portatori dei valori che secondo i fondatori dovevano essere la bussola per la “rivoluzione culturale” in grado di cambiare il paese.

Aver portato un movimento “antisistema” a candidarsi credibilmente come forza di governo è un percorso straordinario ma a condizione di non far evaporare i principi ispiratori.

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