Fiom, Landini suona la carica

di Luca Fazio - Il Manifesto - 10/10/2014
Milano. I capi di stato si blindano per celebrare l'Europa dell'austerity e in città le tute blu inaugurano la stagione di lotte sfilando a migliaia in corteo. La rabbia del capo dei metalmeccanici contro Renzi e il Pd: "Questo Parlamento non serve a niente, siamo pronti ad occupare le fabbriche"

Nel film Gran Torino di Clint East­wood c’è un momento di svolta che gli spet­ta­tori non dimen­ti­cano, è quando un vec­chio mal­messo, lo stesso Clint, si rivolge a tre bulli aggres­sivi guar­dan­doli negli occhi: «Avete mai fatto caso che ogni tanto si incro­cia qual­cuno che non va fatto incaz­zare? Quello sono io».

Eccolo Mau­ri­zio Lan­dini. Ieri era così, furi­bondo allo scio­pero gene­rale della Fiom di Milano. Non sem­brava una recita la sua.

Il segre­ta­rio nazio­nale della Fiom Cgil dice paro­lacce. Non lo fa appo­sta e non è un pro­gramma poli­tico. Forse è di più. Certo non è una caduta di stile. Forse è la con­sa­pe­vo­lezza che ci sono per­sone, non solo lavo­ra­tori, che non vedono l’ora di sen­tire anche nella pan­cia qual­cosa e qual­cuno di credibile.

Per aggrap­parsi a un’idea diversa di poli­tica, pro­prio men­tre lag­giù, blin­dati dalle poli­zie di mezza Europa, i capi di stato si sono rin­chiusi per discu­tere di lavoro e disoc­cu­pa­zione (e saranno pac­che sulle spalle al pre­si­dente del Con­si­glio che si è pre­sen­tato alla «cola­zione di lavoro» por­tando in dote lo scalpo dell’articolo 18).

E magari per sognare un nuova sini­stra che non c’è, pro­prio men­tre il Par­la­mento annienta se stesso votando la fidu­cia al jobs act con la com­pli­cità di chi non è più cre­di­bile per­ché prima fa finta di opporsi e poi si piega agli inte­ressi della «ditta». Sem­bra una sfida alla poli­tica quella di Lan­dini: «Atten­zione, noi non stiamo scherzando».

Non cita Mal­colm X, ma lo evoca quando grida dal palco «lot­te­remo con ogni mezzo neces­sa­rio». L’idea che forse biso­gna andare oltre le solite litur­gie resi­stenti diventa «noti­zia» quando la minac­cia di occu­pare le fab­bri­che è il titolo della gior­nata. «Siamo pronti» è solo una frase rubata a mar­gine del cor­teo metal­mec­ca­nico (3000 per­sone), ma è chiaro che non si tratta di una boutade.

E certa reto­rica anti par­la­men­tare, che chi pon­ti­fica nel nulla della sini­stra senza bus­sola potrebbe anche liqui­dare come «popu­li­sta», non è altro che un attacco a que­sti poli­tici di que­sto par­la­mento che votando la fidu­cia in bianco al governo tra­di­scono il loro stesso man­dato: «Di que­sto Par­la­mento non ce ne fac­ciamo niente», urla Lan­dini. «Il Senato sta votando di con­ti­nuare a rima­nere lì per difen­dere le pol­trone, siamo arri­vati al punto che il governo può fare le leggi senza pas­sare per il par­la­mento, que­sto è un attacco alla democrazia».

Quasi nes­suno osa chie­der­glielo, ma molti se lo doman­dano: «Che fa, si butta in poli­tica?». Non è un’auto can­di­da­tura, ma è evi­dente che il segre­ta­rio della Fiom non può non accor­gersi che comin­ciano a star­gli stretti i panni del sin­da­ca­li­sta. Il ber­sa­glio è chiaro.

Quando Lan­dini si rivolge al pre­si­dente del Con­si­glio usa sem­pre il tono di chi non vede l’ora di fare i conti con lui, ma quel «ti fac­cio vedere io» rubato a mar­gine del cor­teo non è una sbruf­fo­nata, è solo un modo per dire cosa avrebbe fatto lui al posto della «sini­stra» del Pd di fronte al ricatto della fidu­cia: «Ah sì? Guarda che non hai i numeri, ti fac­cio vedere io…». Se fosse stato un poli­tico. Come dire che il dis­senso interno al Pd è una farsa, e senza sponde poli­ti­che tocca par­lare ancora più chiaro: «Se Renzi pensa di fare il figo dan­doci 80 euro e pensa che siamo i coglioni che accet­tano la ridu­zione dei salari, allora si sba­glia di grosso». Non vuole rispetto, lo pre­tende: «Ci con­cede un’ora per discu­tere per­ché ha altro da fare e poi mette la fidu­cia sul jobs act? Atten­zione, noi non ci fac­ciamo più pren­dere per il culo».

L’informazione corre veloce, il tono del comi­zio col­pi­sce e sui siti rim­bal­zano anche i fuori onda più pic­canti. Ma l’ha detto? L’ha detto, l’ha detto. Riman­gono bran­delli di frasi da inter­pre­tare, la lunga teo­ria delle fab­bri­che mila­nesi e lom­barde che si rimet­tono in moto, gli stri­scioni rima­neg­giati per l’occasione («Renzi stai sereno») e la sod­di­sfa­zione finale quando risulta evi­dente che è «buona la prima». Con l’aria che tira non era scon­tato vedere tanti metal­mec­ca­nici in piazza, gli orga­niz­za­tori lo sanno: «Ave­vamo paura, invece è andata bene». E non sono soli, per­ché nelle retro­vie si sono schie­rati pezzi di No Tav, anta­go­ni­sti e stu­denti uni­ver­si­tari. Sfondo che come sem­pre viene liqui­dato con «taf­fe­ru­gli». Due spin­toni, quat­tro petardi, fumo­geni, di più «il movi­mento» non può per­met­tersi. Ma già domani gli stu­denti tor­nano in piazza. E il ber­sa­glio sarà lo stesso.

In vista della cor­teo del 25 otto­bre a Roma, la Fiom ha l’agenda piena. E anche per il futuro: «Noi non ci fer­miamo», dice Lan­dini. Il 15, 16 e 17 otto­bre tor­nerà a scio­pe­rare nei ter­ri­tori, e l’invito è allar­gato a stu­denti e pre­cari. La richie­sta è espli­cita, biso­gna inno­vare forme e modi di par­te­ci­pa­zione. Poi scio­pero gene­rale. Anche da soli. La carica biso­gna suo­narla per tutti. Soprat­tutto per la Cgil.

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