I lumi spenti dell’Occidente

di Carlo Freccero - Il Manifesto - 09/01/2015

Alla base dei fatti di Parigi c’è una pro­fonda frat­tura cul­tu­rale: da un lato il mas­simo valore isla­mico, la reli­gione, dall’altro il mas­simo valore illu­mi­ni­sta: la libertà d’espressione.

Se l’11 set­tem­bre ha col­pito al cuore il capi­ta­li­smo, radendo al suolo le torri gemelle, l’attentato fran­cese assume un signi­fi­cato sim­bo­lico ancora mag­giore, nel momento in cui col­pi­sce nel paese «più illu­mi­ni­sta» d’Europa, uno dei mag­giori valori illu­mi­ni­stici, la libertà, intesa qui come libertà d’espressione, pos­si­bi­lità di met­tere in discus­sione tutto e tutti, anche il dogma religioso.

Non dob­biamo pen­sare che Char­lie Hebdo fosse sem­pli­ce­mente anti-islamico. È una testata di sini­stra che ha sem­pre messo in discus­sione tutto e tutti, anche la reli­gione cat­to­lica, in un modo che, in un’Italia con­trol­lata dal Vati­cano, sarebbe per noi improponibile.

Per que­sto il segre­ta­rio di stato ame­ri­cano John Kerry ha potuto par­lare di «oscu­ran­ti­smo» a pro­po­sito dell’attentato di ieri e il pre­si­dente Hol­lande lo ha descritto come un «atto di terrorismo».

Le imma­gini dell’omicidio del poli­ziotto par­lano da sole. Fanno parte di quel reper­to­rio che non vor­remmo mai vedere, per­ché offende pro­fon­da­mente il nostro senso di giu­sti­zia. Imma­gini che Serge Daney defi­niva ima­ges au pur­ga­toire. Testi­mo­nianze sospese in un limbo da cui non dovreb­bero mai essere tolte, senza destare nel pub­blico ripu­gnanza ed indignazione.

Mi è stato chie­sto un com­mento sull’esecuzione del poli­ziotto disar­mato: per me si tratta sem­pli­ce­mente di un’immagine di guerra.

Tutta l’azione con­tro Char­lie Hebdo è con­ce­pita come un’azione mili­tare, con forze spe­ciali camuf­fate che ripren­dono l’assetto di azioni dei ser­vizi spe­ciali ame­ri­cani. La fero­cia è moti­vata dallo stato di ecce­zione. Par­liamo di ter­ro­ri­smo per­ché ci rifiu­tiamo di pen­sare che siamo in guerra. Però in que­sti giorni gira nelle sale cine­ma­to­gra­fi­che un film come «Ame­ri­can Sni­per» dedi­cato ad un cec­chino che, nel con­te­sto del con­flitto ira­cheno, ci viene pre­sen­tato come un eroe (leggi l’inter­vi­sta a Clint East­wood, ndr). Così come eroi si pre­sen­tano i kami­kaze islamici.

Quanto accade oggi sotto i nostri occhi deve farci riflet­tere. L’unico motivo per cui rite­niamo di non essere in guerra è che la guerra riguarda o deve riguar­dare la peri­fe­ria del mondo, dove noi dovremmo «espor­tare» la nostra «demo­cra­zia» e i nostri valori e in cui invece eser­ci­tiamo da tempo lo stesso inte­gra­li­smo che, da parte isla­mica, per­ce­piamo come barbarico.

Il rap­porto che noi abbiamo con l’informazione è un rap­porto con­ti­nuo di rimo­zione, per cui le imma­gini di ieri sono can­cel­late, e ogni giorno nuove imma­gini gua­da­gnano il cen­tro della scena sta­bi­lendo, con la loro evi­denza, il ruolo dei buoni e cat­tivi. Le imma­gini di ieri sono ine­qui­vo­ca­bili, sono imma­gini di bar­ba­rie, ma il pro­blema è che noi non siamo più i por­ta­tori dei valori dell’illuminismo, ma abbiamo intro­iet­tato da tempo quella bar­ba­rie che ci scon­volge al di fuori di noi.

C’è un’origine in tutto que­sto. Un’origine che, essendo in con­tra­sto coi valori di allora, doveva per forza ren­dersi invi­si­bile. È la prima guerra del Golfo, la guerra di Bush padre, la «guerra intel­li­gente» che col­piva solo gli obiet­tivi mili­tari, scien­ti­fi­ca­mente, e non doveva fare nep­pure un morto tra i civili. Per occul­tare quei morti, che invece non pote­vano non esserci, s’inventò una guerra senza imma­gini, senza riprese in campo lungo, solo come scie lumi­nose, come in un videogame.

Sono seguiti l’11 set­tem­bre e la seconda guerra del Golfo, que­sta volta tra­dotta in imma­gini da parte dei repor­ter embed­ded, incor­po­rati nell’esercito e quindi dispo­sti a dare della guerra una visione di parte, eroica, epica, come lo è oggi il film di Eastwood.

Infine le imma­gini meno edi­fi­canti della guerra, prima proi­bite, hanno comin­ciato ad affio­rare con Abu Gra­hib. Anche que­ste imma­gini non hanno sor­tito quella rea­zione di disgu­sto che si poteva pre­sa­gire di una cul­tura illu­mi­ni­sta. Sono seguite a valanga le rive­la­zioni di Wiki­Leaks e, recen­te­mente, le rive­la­zioni su Guan­ta­namo e le tor­ture della Cia. Tutto que­sto reper­to­rio, ma soprat­tutto la nostra tie­pida rea­zione, ci dicono che un mondo è finito, che l’illuminismo è stato inghiot­tito dalla vora­gine post moderna che oppone all’integralismo isla­mico un nuovo inte­gra­li­smo occi­den­tale. Bush è andato in Iraq par­lando di Dio, le forze del Bene con­trap­po­ste all’asse del Male.

I gruppi di destra che in Europa com­bat­tono l’ondata isla­mica non fanno appello alla ragione ma alla nostra tra­di­zione. E il fatto che nei paesi euro­pei si cominci a pen­sare ad un avvento demo­cra­tico al potere dell’islamismo è un altro segno che la Sha­ria non è più qual­cosa di incom­pren­si­bile, di incom­pa­ti­bile con le nostre costi­tu­zioni illu­mi­ni­sti­che, ma comin­cia ad avere una sua «credibilità».

In que­sti giorni è pre­vi­sta in Fran­cia la pub­bli­ca­zione del nuovo romanzo di Houl­le­becq, che pre­senta uno sce­na­rio pros­simo ven­turo, nel 2025, di isla­miz­za­zione totale della Fran­cia. Forse non siamo ancora lì, ma in que­sti anni il nostro cam­bia­mento cul­tu­rale è stato così radi­cale da ren­dere quest’ipotesi credibile.

In un momento come que­sto, non è così assurdo che la guerra cominci a mani­fe­starsi nelle nostre strade, prima come ter­ro­ri­smo e rot­tura, poi come fatto con­sueto e quo­ti­diano, come suc­cesse in Ita­lia negli anni di piombo.

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