Da più parti si sostiene che in Italia non ci sia più democrazia. Certamente ciò è vero oggi per quanto riguarda la “democrazia rappresentativa”, perno del costituzionalismo liberale moderno, secondo cui le Leggi vengono fatte dal Parlamento, mentre il Potere Esecutivo porta avanti la sua politica in modo coerente con le leggi vigenti. Ben sappiamo di aver votato con una legge elettorale “truffa” che la stessa Corte costituzionale ha dichiarato illegittima. Gli eletti con quella Legge siedono in Parlamento, illegittimamente e inutilmente, ratificando, quasi sempre sotto minaccia della “fiducia”, le iniziative legislative del governo che, ormai di routine, ha trasformato in regola poteri legislativi eccezionali.
In questo quadro, diventa dunque decisivo interrogarsi sulla legittimità dell’Esecutivo. Gioverà ricordare che all’esito delle ultime elezioni il primo partito fu d’un soffio il M5S, ma Napolitano non diede l’incarico al suo leader bensì a quello del secondo Partito (Bersani) il quale non ottenne la fiducia. Con l’elettorato diviso in tre blocchi equivalenti fieramente avversi, la scelta di Napolitano (nel frattempo rieletto escludendo Rodotà, il candidato più naturale e popolare) a favore di Enrico Letta, certamente non corrispose alla volontà di alcun elettore.
Dunque il nostro attuale Premier, andato al potere con una congiura di palazzo ai danni di quest’ ultimo, non è legittimato dal popolo ma si regge su traditori del proprio mandato.
Questo incubo di politicanti che tradiscono a maggioranza il popolo che dovrebbero rappresentare, era proprio quello che i Costituenti avevano in mente nell’introdurre garanzie (come la Corte Costituzionale) e strumenti di democrazia diretta (come i Referendum). Il popolo tradito può riprendere la parola, per abrogare leggi ingiuste o per bloccare riforme Costituzionali prodotte da maggioranze illegittime.
Il Referendum del 2011 aveva reagito ad un tentativo, fortunatamente sventato, di svendita di beni comuni con vantaggio per le multinazionali private. Poche settimane dopo, Mario Draghi, il campione di Goldman Sachs e della tecnocrazia globale, fece sentire la sua voce “silurando” il governo Berlusconi, nonostante il suo zelo nel legiferare contro l’esito del referendum. Con il governo Monti, altro dipendente di Goldman, non solo la democrazia diretta ma anche quella rappresentativa furono sospese sine die tramite il solito Napolitano. Non è un caso che la sola istituzione di garanzia che ha provato a opporsi a questa deriva da ventennio, la Corte costituzionale (sentenza 199, 2012) esca ulteriormente indebolita dalla riforma Costituzionale di Renzi, attuale beneficiario del crollo della democrazia italiana.
Oggi ci sono le condizioni per provare a reagire, cercando di concludere uno stato di eccezione che dura dal 2011. È nuovamente un referendum sui beni comuni a consegnare al popolo questa opportunità. Infatti, il voto del 17 aprile che, come quello sull’ acqua, terrorizza la tecnocrazia pseudo-europeista al potere, ridà la parola al popolo proprio sul modello di sviluppo che si vuole intraprendere: estrattivismo e svendita delle risorse di tutti o beni comuni?
La tragedia di lasciare la politica energetica che riguarda circa 90 miliardi di euro di sussidi l’anno nelle segrete stanze dei ministeri sta emergendo chiaramente sul caso Eni. Una sconfitta delle lobby il 17 Aprile con una chiara vittoria del SI sarebbe prodromica a una sconfitta governativa in autunno sulla “controriforma” costituzionale che, Mattarella permettendo, caccerebbe l’usurpatore eterodiretto.
Il 17 aprile possiamo muovere un passo essenziale per invertire la rotta, ripristinare la democrazia e liberarci di chi la calpesta ogni giorno a spese dei beni comuni: altro che referendum inutile!