Il 13 agosto abbiamo “festeggiato” il giorno del “sorpasso”, quello a partire dal quale viviamo a credito ecologico fino alla fine dell’anno. Per oltre quattro mesi ogni anno l’umanità sopravvive consumando un patrimonio di risorse che la terra non è più in grado di rigenerare. Un debito ecologico che nessuno si preoccupa di ripagare. Infatti, oggi la nostra impronta ecologica che fisiologicamente deve essere 1 perché abbiamo un solo pianeta in grado di rigenerare le risorse che noi estraiamo è già 1,4. Ci servirebbe la capacità rigenerativa di poco meno che un altro mezzo pianeta. La cosa diventa gravissima se consideriamo che l’impronta ecologica dei nord-americani è ormai vicina a 6.
Se
tutto il mondo vivesse secondo l’American way of life, ci vorrebbero
ormai oltre cinque pianeti per sostenere l’umanità. Comunque l’impronta
europea è ormai vicina a 4! Questi
dati dimostrano che possiamo vivere sul debito eco-l o g i c o a n c o
r a p e r qualche decennio (ma non molti perché il pianeta creditore
inizia a dare chiari segni di insofferenza) soltanto grazie al sud
globale, dove l’impronta ecologica è ben sotto lo 0,5 anche in virtù del
consumo davvero basso degli oltre 800 milioni di esseri umani che
soffrono la fame e del miliardo che soffre la sete.
Sono
condizioni ben note nelle Cancellerie dei paesi ricchi, le quali
lavorano alacremente e da molti anni per mantenere questo scandaloso
disequilibrio globale che consente di illudere gli elettori occidentali
vittime di disinformazione che sia possibile continuare le politiche di
estrattivismo predatorio (che chiamano crescita o sviluppo) per sempre.
BASTEREBBE
tener conto che il Niger, il paese al mondo dove la massima percentuale
di cittadini soffre di fame cronica, è il secondo produttore mondiale
di uranio (estratto a prezzo vile da una multinazionale francese) o che
la Germania ha guadagnato quasi 100 miliardi offrendosi come rifugio per
gli investitori terrorizzati dal rischio di default greco (a fronte
di circa 57 miliardi di debito greco verso la medesima!) per renderci
conto appieno delle menzogne con cui si fomentano gli istinti xenofobi
che dominano il panorama politico.
I
governanti occidentali provano a ridurre l’emergenza a quella dei
profughi “economici” o a quella dei greci “pigri” e seguitano a
promettere crescita, tecnologia (banda larga per tutti!) e sviluppo.
Tuttavia pian piano la cittadinanza si rende conto che ciascuna di
queste emergenze è ecologica, perché il pianeta non ce la fa più a
sopportare l’estrazione capitalistica. La cittadinanza che soccorre i
profughi (senza chiede loro se sono economici) o simpatizza coi Greci
(rifiutando la retorica delle cicale e vedendoli come vittime di 25 anni
di speculazione neo liberale) sa benissimo che la sola uscita possibile è quella di una riconversione ecologica della nostra organizzazione sociale.
Queste persone possono facilmente cadere nella disillusione,
pensare che nonvalgalapenadifar nulla, cedere, se minimamente
privilegiata, alla seduzione del carpe diem (vivere come se non ci fosse
un domani). O possono diventare maggioranza. A questa maggioranza che
in massa oggi non vota più (ma vuol
sapere che fare) occorre offrire un percorso alternativo. Un percorso
prima di tutto culturale, autorevole e lungimirante, tracciato dai beni
comuni nella loro attuale solidità teorica e soprattutto nella loro
prassi quotidiana di sensibilità ecologica e attenzione per l’altro, sia
esso vicino o lontano, umano o animale, ecologicamente alfabetizzato
oppure non ancora.
QUESTO percorso “beni comunista”ben conosce i limiti della rappresentanza. Sa che il voto è sempre più corrotto dal potere economico che condiziona l’informazione e determina il comportamento degli eletti.
Tuttavia la rappresentanza è una delle strade da percorrere (assolutamente non la sola) nella speranza di modificare il nostro modo di vivere in questo mondo e di poter ripagare l’unico debito che davvero non può esserci rimesso: quello ecologico. Gli eletti lasciati soli tradiscono, consapevolmente o più spesso inconsapevolmente.
Amministratori benicomunisti, circondati nella quotidianità da militanti che a loro volta interpretano attivamente nei comportamenti di ogni giorno lo spartito dei beni comuni, sono necessari per la conversione del sistema.
L’esperimento di cogestione dei beni comuni fra amministratori e cittadinanza non può che avere la città come laboratorio e l’impronta ecologica 1 come obiettivo. A Barcellona e Madrid ci stanno provando. Vogliamo farlo anche noi fin dalla prossima primavera?