Alla fine della Seconda guerra mondiale i disastri fisici e morali di un lungo periodo di scontri bellici cruenti e sanguinosi cominciati, di fatto, all’inizio del secolo scorso portarono l’umanità alla ricerca di un mondo e di una società che potessero ristabilire il senso del bene comune e mettere la dignità dell’uomo al centro dello sviluppo economico e sociale. Quegli anni furono contraddistinti da una spinta ad affermare i diritti universali dell’uomo anche nei fatti: per la prima volta i vincitori aiutarono i vinti – piano Marshall – venne stabilito un meccanismo di regolazione monetaria – Bretton Woods – vennero costituite le Nazioni Unite – Onu – e gettate le basi per l’Unione Europea.
Va ricordato che agli accordi di Bretton Woods partecipò John Maynard Keynes che riteneva necessario che tutte le monete dovessero essere legate alla parità aurea e non solo attraverso il dollaro perché il suo indebolimento avrebbe messo in crisi l’intero sistema monetario. Fu preveggente come già lo era stato alla fine della prima guerra mondiale quando si era opposto all’imposizione delle insostenibili spese di guerra imposte alla Germania che avrebbero poi creato le condizioni per la ripresa dei conflitti; Keynes, però, era uno scienziato sociale prima di essere uno studioso di matematica. La costituzione dell’Onu fu legata solennemente alla dichiarazione dei diritti universali dell’uomo il 10 dicembre 1948. Il preambolo della dichiarazione enuncia il riconoscimento della dignità dell’uomo, dei diritti uguali ed inalienabili, l’avvento di un mondo libero dal timore e dal bisogno come la più alta aspirazione dell’uomo. I vari articoli definiscono in modo puntuale il senso di libertà, di dignità sia sociale che economica.
Negli articoli 23-24-25 questi diritti sono chiarissimi “ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute ed il benessere proprio e della sua famiglia con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione ed alle cure mediche, ai servizi sociali necessari…”. Quel periodo di pace e di stabilità sociale costituì la base per uno sviluppo economico e sociale senza pari nella storia dimostrando, ancora una volta, quanto una società solida ed equa sia una condizione imprescindibile per avere una buona economia, ma quel periodo di collaborazione non durò più di un ventennio, alla fine degli anni sessanta si preparavano gli sconvolgimenti che avrebbero ricreato le condizioni per la deflagrazione della crisi del nostro tempo.
I diritti fondamentali dell’uomo che sembravano, a quel tempo, scolpiti sulla pietra oggi sembrano essere stati scritti sulla sabbia di un arenile continuamente battuto dalle onde. Così i “demoni” dell’animo umano, che il dolore delle tragedie belliche sembrava avere cancellato, sono ricomparsi in un modo più subdolo e sottile ma forse più pericolosi. I principi di pace e di libertà, specie in campo economico e finanziario, hanno paradossalmente contribuito a ricostruire un nuovo totalitarismo “pseudo culturale” da cui siamo avvolti. Anders l’avrebbe definita una “comoda illibertà” che ci rende confusi, omologati, incapaci di un libero pensiero e più simili ad un “plancton” perennemente in balia delle onde e del vento.
Un liberismo senza limiti, assunto come fine e non come mezzo, ha finito per affermare l’ancestrale avidità dell’uomo e la legge che il più forte domina sempre fino a quando non trova una forza uguale che gli si contrappone. Proviamo a ripercorrere il cammino di questa evoluzione per scoprire che la strada del male è lastricata sempre dalle buone intenzioni. Le basi del neoliberismo furono gettate negli anni trenta dal filosofo Alexander Rustow che lo aveva pensato leggermente diverso da quello classico e più orientato al sociale ed ad un controllo più attento dell’evoluzione dei mercati. Così nel 1947, Friedrich von Hayek, reduce dal Colloquio Walter Lippmann fondò la “Mont Pelerin Society” per riproporre quel pensiero; è importante collocare il pensiero di Hayek nel contesto socioculturale in cui era cresciuto e si era formato. Era stato un cultore delle scienze umanistiche e filosofo, allievo di von Mises aveva vissuto il pensiero austriaco del primo dopoguerra, gli studi sui comportamenti dell’uomo che Freud aveva sviluppato. La sua era una visione liberale della società e dell’economia ma sotto un principio di regole morali come lo era stata quella di Adam Smith e David Hume, le cui idee sono state troppo spesso mistificate in modo strumentale. La spinta libertaria era la risposta ai totalitarismi che avevano strangolato e soffocato il vivere sociale, in realtà il vero scopo degli intellettuali europei era ben diverso dalla strenua difesa del “laissez-faire” che già Keynes aveva criticato con pagine che sembrano scritte domani.
La linea culturale era orientata a ridiscutere il pensiero liberale in una visione più ampia ma sotto una visione morale in linea con la tradizione culturale europea che si distingue nettamente dalla visione esasperata che ne avrebbe fatto la cultura statunitense troppo tecnica e poco propensa alla visione integrale dell’uomo. La differenza tra i due modelli culturali è legata al fatto che il pensiero europeo non ha rotto i ponti con il passato e quindi la sua creatività ha radici millenarie, il pensiero europeo ha prodotto l’idea della libertà dell’uomo come sua opera ma ha sperimentato che il solo pensiero unico tecnico-razionale non è una garanzia di sicuri successi. Hayek sarebbe poi stato profondamente critico verso un approccio all’economia come scienza esatta ed il suo discorso in occasione della consegna del Nobel è emblematico nel denunciare il rischio che un approccio esclusivamente quantitativo all’economia scienza morale, deumanizzandola, sarebbe stato fonte di gravi danni.
Ma la scuola statunitense sarebbe diventata dominante ed il suo pensiero portato agli estremi ha creato i disastri di un neoliberismo anarchico che ha portato l’interesse egoistico a supremo giudice delle azioni del singolo con i risultati drammatici che abbiamo sotto gli occhi. Quando un pensiero ed un modello culturale arrecano danni gravi ai destini dell’uomo sono fonte di pesanti responsabilità nella mancata attenzione ai diritti enunciati dell’uomo. Se l’uomo viene messo al traino dell’economia e della finanza diventa un mezzo, un oggetto ed il suo destino anche se amaro assume, in questo modello culturale, tecnicamente il carattere di “esternalità negativa” o anche, usando un linguaggio bellico un “danno collaterale”.
I diritti universali dell’uomo diventano pure dichiarazioni di intenti e così viene meno “l’autonomia dell’uomo che è il fondamento della dignità della natura umana e di ogni natura razionale” ( Immanuel Kant, “Fondazione della metafisica dei costumi”, pag.69). L’autonomia spesso richiamata, in modo retorico, diventa la foglia di fico ed il veicolo dell’affermazione di interessi superiori; “in questo modo trova conferma il sospetto che il programma dei diritti dell’uomo consista nel suo abuso imperialistico” (Jurgen Habermas, “Quest’Europa in crisi”, pag.28 ). La validità dell’osannato pensiero neoliberista oggi è al vaglio della storia che ne decreta il fallimento proprio con quei mezzi misurabili che lo stesso pensiero aveva innalzato a criteri e verità incontrovertibile.
Il fallimento di tale pensiero si trova proprio nella logica che presiede il destino di ogni scienza e cioè le relazioni tra le ipotesi assunte come fondanti per lo sviluppo del pensiero ed i risultati conseguenti che possono validare le ipotesi e nel caso il percorso scientifico diventa virtuoso oppure invalidarle con risultati asimmetrici alle attese e così il pensiero viene dichiarato fallimentare. Questo è il caso specifico del fallimento del pensiero neoliberista e dei danni che ha provocato innalzando la finanza a supremo ordine decisionale sovvertendo quei principi di uguaglianza, di libertà e di solidarietà che sono nei diritti universali dell’uomo. Uscire da questa situazione ridefinendo le ipotesi sembra la sola via d’uscita per evitare di trovarci ancora una volta davanti al caos. Proviamo a ricostruire il percorso di questo pensiero e le ipotesi assunte alla base.
La metodologia scientifica è comune a tutte le scienze per i suoi fondamenti, ma attinge anche a momenti differenziatori dalla diversità dell’oggetto di ciascuna scienza. Con riguardo all’oggetto di osservazione nell’aspetto considerato differente tra scienze positive e quelle sociali si può proporre il seguente schema: le scienze sociali – come l’economia – esaminano il rapporto tra uomo ed uomo (o gruppi di uomini o società) intrecciati a rapporti con cose diverse dall’uomo, conseguenti alla vita dell’uomo nella società umana, i rapporti con la produzione ed il consumo di beni in ordine al valore ed alla priorità ad essi attribuita… Le altre scienze – le scienze positive, fisica, chimica… - esaminano i rapporti tra cosa e cosa (o gruppi di cose) compreso l’uomo nei soli aspetti della materia. Da questo punto di vista le scienze sociali hanno le seguenti peculiari caratteristiche di assoluto e primo rilievo: i vincoli posti allo studio dall’influsso della volontà umana e del suo inconscio; il soggettivismo con tutte le sue forme di imprevedibilità; il mutamento continuo nella tipologia delle relazioni tra uomini anche di breve periodo e nel lungo tempo; la variabilità degli interessi e dei destini non prevedibili in modo meccanicistico; l’inapplicabilità in modo automatico dell’abito mentale di chi studia le scienze esatte che hanno una loro razionalità intrinseca (un grave cade sempre indipendentemente da chi lo fa cadere o dal posto dove si verifica il fatto); la dimensione spirituale e trascendente che caratterizza la vita dell’uomo e la sua tensione alla ricerca di una dimensione metafisica. Di conseguenza la scelta delle ipotesi nello studio dei fenomeni economici diventa fondamentale per la loro validazione. Sono protopostulati certe ipotesi molto generali che si assumono prima di percorrere la strada della ricerca ed un’indagine sui protopostulati è indispensabile e la linea da seguire è quella di ridurre al minimo quelli che non siano generalissimi.
La declinazione delle ipotesi è fondamentale per capire la “deumanizzazione” delle scienze economiche il cui dna è stato radicato nella pianta delle scienze esatte facendone una scienza geneticamente modificata. Il pensiero tecnico razionale ha radici lontane nella storia e trova le prime radici nel campo della speculazione con Kant che prepara la strada all’idealismo tedesco ed al materialismo storico di Marx. L’affermazione del modello razionale e del principio della verità solo misurabile ha contribuito a staccare l’uomo dalla sua spiritualità ed a trasformare le scienze positive e strumentali in scienze finalistiche e morali; il terreno è stato preparato per l’approccio quantitativo all’economia. Proprio negli anni in cui Hayek fondava la “Mont Pelerin Society”, Samuelson, nobel nel 1970, applicava all’economia i principi dell’equilibrio della termodinamica derivanti dagli studi del matematico e fisico Willard Gibbs e si apriva la strada ad un economia in cui l’emozionalità dell’uomo veniva cancellata dagli studi come fattore ininfluente negli studi.
Tuttavia proprio Paul Samuelson negli ultimi anni aveva assunto un posizione profondamente critica nei confronti dell’approccio razionale ai mercati, della crescente disuguaglianza e della necessità che il ruolo dello Stato fosse recuperato come riequilibratore delle disuguaglianze. La scuola di Chicago con Milton Friedman e poi altri economisti come Ronald Coase e Wassily Leontief avrebbero portato, poi, la finanza sopra all’economia reale ammantandola di verità incontrovertibile al di là dell’evidenza dei fatti e degli errori palesi fatti da una politica monetaria da propinarsi in modo autoreferenziale anche a paesi, come fu il Cile di Augusto Pinochet che socialmente e culturalmente erano totalmente inadatti.
In sostanza le ipotesi assunte dal neoliberismo come panacea di tutti i fini sociali e quindi funzionali ad affermare in modo definitivo i diritti universali dell’uomo sono in sintesi le seguenti: l’economia assunta come scienza morale diventa il fine da perseguire per migliorare la società, più migliora ed aumenta l’economia per naturale conseguenza la società migliora. Mentre prima il fine dell’economia era esterno ad essa ed era la società migliore e giusta in questo modo il fine dell’economia è interno ad essa e diventa essa stessa fine; la separazione dell’economia dalla società e dall’uomo consente di studiarla con l’abito mentale di chi studia le scienze esatte indipendente dallo stato emozionale dell’uomo.
Viene ignorata la differenza di fondo con le scienze positive nelle quali il soggetto che compie l’esperimento non influenza la razionalità intrinseca dell’oggetto di studio, mentre nell’economia la soggettività dell’uomo non è indipendente dalle sue scelte ma le condiziona; l’incremento dell’economia viene perseguito con un liberismo senza regole che alimenta l’avidità umana ed il fine della massimizzazione del risultato personale induce a normalizzare i comportamenti illeciti, si vive per guadagnare e non si guadagna per vivere e la vita diventa essa stessa un bene di consumo; le patologie sociali finiranno per esplodere; se l’arricchimento personale senza limiti diventa un fine da realizzarsi prima possibile la finanza diventa il mezzo più idoneo a realizzare lo scopo; la finanza deve diventare una verità incontrovertibile in modo che si possa ammettere, come ipotesi fondante, che i mercati sono razionali e non sbagliano mai nell’allocazione della ricchezza (Robert Lucas, Nobel nel 1995) e l’Accademia comincia a tessere relazioni tossiche con la politica e la finanza; la finanza si stacca dall’economia reale e vive di una sua vita indipendente, il Nobel a Robert Merton ed a Myron Scholes sui derivati nel 1997 e la deregolamentazione voluta da Alan Greenspan nel 1999 inonderanno il mondo di liquidità; il dogma “creare valore per gli azionisti” è da perseguire come strumento per realizzare più rapidamente il fine ed aziende sane saranno spolpate come il vitello grasso; la delocalizzazione viene perseguita indipendentemente dagli effetti sociali ma per alimentare le aspettative “emozionali” ma non razionali dell’incremento del valore azionario che non coincide necessariamente con un maggiore valore reale dell’azienda; la crisi deflagrata nel 2008 era cominciata molto prima ma nella sostanza non cambia il modello culturale e l’exit strategy degli Usa consiste nel drogare il drogato aumentando le dosi.
A fronte delle ipotesi autoreferenziali abbiamo i seguenti risultati: aumento senza precedenti della disuguaglianza, della povertà, del degrado morale, della disoccupazione e di altre gravi patologie sociali; non è vero che più migliora l’economia e più migliora la società ma i fatti e la storia dimostrano l’esatto contrario. Salta l’ipotesi di base. Il modello culturale affermato in modo definitivo con la finanza diventa la guerra di tutti contro tutti ed una società di perenni conflitti sociali che sembrano sempre sul punto di deflagrare; prevale l’interesse personale a scapito del bene comune e la solidarietà rimane solo un enunciato di facciata. La delocalizzazione perseguita per aumentare il valore separa il capitale dal lavoro a scapito di quest’ultimo che ne diventa ostaggio. Salta la società degli uguali e delle libertà e la conseguente ipotesi dell’affermazione dei diritti universali, il modello diventa autoreferenziale e dominante, détta le regole che vanno applicate automaticamente, la libertà così spesso invocata viene soffocata e la verità sistematicamente mistificata dai media.
Si forma un senato virtuale egemone sovranazionale che non ha legittimazione democratica, legale o partecipata i cui fini sono interni ad esso. La finanza si afferma su tutto e distaccandosi dall’economia reale non consente più di capire la differenza del valore d’uso e di quello di scambio, i prezzi dei beni reali di oggi sono influenzati dalle aspettative dei prezzi futuri fatti da volumi sterminati di scommettitori ed i dati macroeconomici cambiano continuamente. I mercati non sono razionali ma i valori di dati come lo spread, il rating, il pil e così via assumono il ruolo di strumenti di un governo sovranazionale indefinito ed i dati macroeconomici fondati su infinite scommesse diventano imprevedibili e cambiano in continuazione a riprova dell’“irrazionalità” dei mercati. Per capire il loro andamento come in un casinò dove la roulette è truccata bisogna guardare gli interessi del croupier perché è lui che comanda il gioco non l’apparente ma inesistente razionalità dei mercati.
I dati più evidenti di una finanza locusta sono le speculazioni sui beni alimentari che si fondano su contratti derivati – i futures sulle merci – che hanno come sottostante merci o commodities con impegni su quei prezzi futuri che speculano sulla miseria e sulla fame e la democrazia sembra subire le regole del “signoraggio della finanza”. I mercati non sono razionali e salta l’ultima ipotesi. L’economia da solida diventa liquida ed il suo orizzonte temporale dal medio tempo passa al breve o brevissimo termine ma più spesso al semplice saccheggio. La manifattura delocalizzata crea le condizioni di dissesto occupazionale ed influenza la crescita del pil perché la sola moneta non genera moneta. Alla fine i risultati del modello sono assolutamente asimmetrici alle ipotesi sottostanti, in questi casi l’esperimento si considera fallito nelle scienze positive ed a maggior ragione nelle scienze sociali se i diritti dell’uomo vengono soffocati. È sempre la società fondamento dell’economia e la dimostrazione ancora una volta è nei fatti: i Paesi che più hanno cavalcato il modello della finanza – Usa e GB – sono di fronte a squilibri sociali senza precedenti nella loro storia con livelli di disuguaglianza ed aree di povertà da paesi del terzo mondo.
In Uk un terzo degli inglesi è sotto la soglia della povertà, come il 46 per cento dei cittadini di New York anche se molti lavorano 40 o più ore alla settimana; i redditi dell’1 per cento dei ricchi in Usa è pari al 40 per cento del reddito totale, in Uk il patrimonio delle 5 famiglie più ricche è pari a quello del 20 per cento più povero del Paese. I dati sono drammatici e si potrebbe continuare nell’elenco che purtroppo sembra senza fine. La strada da perseguire per provare a perseguire un riequilibrio si lega alla necessità di “disarmare” la finanza, limitando tutte le operazioni pericolose come sopra indicate – derivati, otc, futures sui prezzi delle materie prime - vincolando il rapporto tra capitali raccolti e le scommesse. Il risultato a cui siamo di fronte sembra una nemesi del senso di onnipotenza che porta sempre l’uomo a sfidare gli equilibri sociali, è l’antica hybris che ha perduto Icaro e Prometeo e prima di loro nella Genesi Adamo ed Eva.
La conoscenza dell’albero del bene e del male ha portato gli uomini all’incertezza della scelta e li ha esposti alla tentazione e così l’“io” morale è sempre in equilibrio sulla fune. Non possiamo più ragionare sui mezzi quando i fini sono sbagliati. L’economia assunta a valore morale ha tradito il suo ruolo originario di strumento per rispondere ai bisogni dell’uomo ma è diventata essa stessa fine ed uno strumento di dominio culturale che ha riportato la società di fronte al dilemma del suo divenire. L’idea di giustizia rappresentata da una società di uguali è stata ignorata e sostituita da una società di disuguali, è giunto il tempo di pensare al nostro tempo per ridisegnarlo, questa è la vera sfida integrale che abbiamo davanti.