Tanto rumore per nulla, o quasi. In molti hanno esultato per l’approvazione definitiva del nuovo Codice Antimafia, parlando di grande risultato e di salto di qualità nella lotta alla mafia e alla corruzione. Ma è davvero così? Indubbiamente qualche novità positiva è stata introdotta, in particolare per una maggiore efficacia e trasparenza nella gestione dei beni confiscati, con il varo di misure per impedire che si ripetano scandali come quello della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo.
Se però si approfondisce il merito del reale impatto della nuova normativa, il saldo è negativo, e quindi tanto entusiasmo appare francamente eccessivo e anzi del tutto fuori luogo. Infatti, la vera sfida era sul terreno della lotta alla corruzione e il banco di prova era l’equiparazione dei corrotti ai mafiosi, estendendo ai primi le normative in materia di sequestro e confisca che bene hanno funzionato contro i secondi. Ebbene l’equiparazione, che ha fatto gridare Forza Italia all’abominio giuridico e alla deriva giustizialista, di fatto non c’è. Si tratta di un bluff, di illusionismo. L’equiparazione era nel testo approvato in prima lettura alla Camera, in una versione forse perfino eccessiva, visto che prevedeva la possibilità di sequestro e confisca dei beni per la maggior parte dei reati contro la pubblica amministrazione, anche per quelli meno gravi. Ma è stata poi cancellata al Senato con l’emendamento, approvato su proposta del Pd, che limita l’applicabilità delle misure di prevenzione ai soli casi in cui, insieme alla corruzione, viene contestata anche l’associazione per delinquere. Il punto cruciale è proprio questo, aver previsto la forma associativa come condizione necessaria per procedere a sequestro e confisca, un ‘dettaglio’ che di fatto condanna la norma alla disapplicazione. Perché i casi in cui chi è indagato per reati di corruzione o concussione è indiziato anche di associazione a delinquere sono rarissimi. Dunque, l’equiparazione è solo apparente e per i magistrati sarà molto difficile confiscare i patrimoni dei corrotti, dovendo al contempo provare anche l’associazione per delinquere. In questo senso il codice è allora un’arma spuntata, che rischia per di più di essere totalmente disinnescata dall’ordine del giorno Pd-Ap che impegna il governo ad apportare ulteriori correttivi per eliminare l’equiparazione mafia -corruzione, in realtà solo teorica. Insomma, la tanto decantata svolta è evidentemente destinata ad essere tale solo sulla carta. Si poteva fare diversamente? Ovviamente sì. C’è una proposta di modifica della normativa vigente, ben più ambiziosa e coraggiosa, la legge “La Torre bis”, che per l’intera legislatura è stata tenuta chiusa ad ammuffire in qualche cassetto del Senato.
Punta a colpire soprattutto i colletti bianchi scoperti a imporre e intascare mazzette, introducendo per legge la possibilità di applicare sequestro e confisca preventivi agli indiziati solo dei reati più gravi contro la Pubblica amministrazione, in caso di evidente sproporzione tra valore del patrimonio e reddito dichiarato. Una rivoluzione copernicana, che prende atto di ciò che tutti dicono, e cioè che mafia e corruzione sono due facce della stessa medaglia, e che vuole contrastarne l’inarrestabile diffusione endemica. Secondo il pm Nino Di Matteo, una tale legge, se approvata, costituirebbe “per il sistema della corruzione, dell’esercizio privatistico del potere, un terremoto come lo fu la legge Rognoni-La Torre per i mafiosi”. Troppo per questo Parlamento, eletto con una legge dichiarata incostituzionale, pieno di inquisiti e di impuniti, che infatti non ha mai preso in considerazione la proposta. Impresentabili sì, autolesionisti no. E allora non resta che sperare nella prossima legislatura. Oso credere che fare peggio di quanto fatto e disfatto da quella che si sta chiudendo sarà impossibile.